1988-1991
Grazie ad ALIAS del 6 dicembre scorso, uscito con una copertina su la Bibbia Gotica (Arcana, pp. 433, euro 19,50) di Nancy Kilpatrick, ho potuto rituffarmi nei miei sedici anni, età in cui esplorai i territori della new wave e la sottocultura dark. Decisi di essere della partita, un goth, di calcare quella scena lì e di diventare uno in nero. Ricordo che indossavo dei jeans elasticizzati neri, un po’ scaduti sul cavallo, visto che ero e sono tuttora un senza culo, nel senso che non ho chiappe. Non temevo il ridicolo e non mi fregava se mi ridevano dietro. Ancora oggi mi capita, anche sul lavoro, che mi domandino: “Nicola, e il culo? L’hai lasciato a casa?”. Ma tornando ai tempi, mi piace ripercorrere quel mondo di dark alle vongole. Ricordo anche che pensai di arrivare a spararmi della roba in vena per raggiungere un certo stato mentale e dell’anima, che forse mi mancava.
E se questo non successe qualcosa voleva pur dire. Vuol dire che alla fine della fiera era sempre meglio tornare la domenica a mangiare la lasagna della mamma. Il chiodo fisso della magrezza fino al sabato, ma la domenica è sempre domenica. Dovevo essere quello che la Kilaptrick definisce un poseur. Ci si fermava a qualche cannetta e neanche troppo spesso, ché a sedici anni con la paghetta settimanale di dieci mila lire dove potevi andare? Ci si imbucava nelle feste, ancora fatte in casa, a Modugno, Bitonto e Palo del Colle, dove si riusciva a forzarle a tal punto che un diciott’anni impostato sui trenini e pe-pe-pe-pe-pe-pe-pe-pe poteva anche svoltare non dico sui Christian Death o Siouxsie and the Banshees ma sui Cure e i Depeche Mode, beh questo sì. Il concerto dei Depeche Mode a Pasadena era senza dubbio il momento che prediligevo e chi mi procurava deliquio. Il look prevedeva scarpe con punta metallica abbacinante, maglie e camicie larghe abbottonate bene fin sotto il mento e portate rigorosamente fuori dai pantaloni ma poi ognuno personalizzava come più gli garbava, con spilloni e impermeabili tenebrosi. Le zazzere sguinciate portavano poi gli adulti che ci osservavano a una pericolosa criminalizzazione dei nostri barbieri. Voglio però tornare su un punto: la magrezza come dogma di fede. Ma l’avete visto oggi Robert Smith?
Gradite risposte di darkacci sopra i quaranta.
11 Dic 2008 Nicola
Mi permetto di riportare un commento di Fabio Ciampi da Facebook.
“Piú che Ian Curtis assomigliavi a Kurt Cobain (per i capelli). Quello era il periodo del menefotto di tutto/i … anche se c’era chi predicava i cure e scriveva i testi dei Bros (che fine hanno fatto!!!) di prima mattina. Si nasce robert smith e si muore boy george (sono diventati entrambi due esseri improponibili).”
Io sono palesemente sotto i quaranta, però con la storia di Robert Smith “svaccato” ci ho pure iniziato un post, tempo fa. E ascolto Siouxsie e Cure (meno Depeche e Joy Division, ma cmq anche loro), però non ho i pantaloni scaduti, chè purtroppo a me la lasagna piace, e non solo alla domenica. Per cui il culo io ce l’ho.
E meno male, Sara. io, il culo che non ho però non riuscirei a metterlo neanche mangiando.
Fabio, ma a chi ti riferisci? Predicare i Cure e scrivere da Bros. stai pensando anche tu alla persona a cui sto pensando io?
Oggi però faccio i conti con una tragica agnizione: AVREI VOLUTO ESSERE NICK KAMEN.
Sicuramente pensiamo alla stessa persona, oramai scesa dal famoso albero.
All’epoca (avevo 17 anni nel 1988) non esplorai i territori della new Wawe e della sottocultura dark, pur se qualcosa mi fece intravedere un amico pittore alquanto in contrasto con la realtà. A proposito di gotico però, mi viene in mente un titolo: Sette storie gotiche, una serie di racconti straordinari della grande scrittrice danese Karen Blixen. E mi viene in mente anche una delle epigrafi posta in margine: “Un vecchio vescovo danese, ricordo, mi disse una volta che ci sono molte vie per giungere alla verità, e che il Borgogna è una delle tante”. Grandissima epigrafe. Al punto da essere ricollocata da Leonardo Sciascia in margine al suo Il cavaliere e la morte. Chissà che anche la sottocultura dark non sia una delle tante vie per giungere alla verità. Con o senza le lasagne della mamma…
E così, mentre a Catania il primo dettagliante si è ucciso, la CESAME va in vacca lasciando noi senza cessi e mettendo a rischio la vita (sì, la vita) di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie come dopo TANGENTOPOLI, e i ricercatori di Farmacia muoiono come mosche avvelenati dalle esalazioni FISICHE dell’intrallazzo, l’INTELLETTUALE “sciasciano” non si sporca le mani col sangue plebeo, e addirittura si cimenta con la “sottocultura dark”, mettendo per un attimo da parte il commentoperpetuo alla sua copia bisunta di Calvino, e il santino di Di Pietro.
La Letteratura genera realtà, QUANDO se ne nutre.
Premesso che conosco Agus da qualche anno (abbiamo frequentato un master sull’editoria presso l’università di Urbino), e che mai ho avuto screzi con lui (mi aveva anche chiesto di partecipare ad un suo blog), ho deciso di rispondere al suo commento – inutilmente provocatorio, un po’ delirante, che in sé non meriterebbe neanche considerazione – soltanto per rispetto dei lettori del blog di Nicola Sacco. Perché credo fermamente che chi tenta di dire qualcosa attraverso la scrittura, e ancor più la scrittura letteraria, deve sempre preoccuparsi di rispettare il lettore, di tenerlo il più possibile informato, anche quando si tratta di modestissimi interventi in un blog pressoché sconosciuto.
Sono sorpreso e meravigliato (anche se non più di tanto, per la verità) che Alessandro Agus - che di mestiere prova a fare l’editore, e che dunque di libri, di letteratura, dovrebbe occuparsi, e con sufficiente cognizione di causa – scriva un commento del genere. E ancor più meravigliato – e anzi inquietato – se scopro che proprio il medesimo contenuto di tale commento mi era stato inviato lo scorso 13 dicembre sotto forma di sms rigorosamente anonimo (inutile il mio tentativo di chiamare il numero sconosciuto da cui era partito il messaggio; ma se ne potrebbe vedere il lato buono della faccenda: lo spunto per un possibile giallo, magari da proporre a Quarup…).
Non capisco cosa centrino le tristi vicende della Cesame - con tutto il loro carico di dolore e rabbia, quando non di disperazione (e che Agus, per non so quale cortocircuito, associa a Tangentopoli) -, i tragici fatti della Facoltà di Farmacia, il suicidio del povero dettagliante, con quanto io abbia scritto su questo blog. E ancor meno comprendo lo sconcio riferimento al sangue plebeo. Molto ci sarebbe da dire su quest’aggettivo, soprattutto in termini di antropologia culturale (e suggerirei ad Agus di leggere qualche pagina, in tal senso; eviterebbe forse, in futuro, di pronunciare altre simili grossolane sciocchezze), ma non è questa la sede, né il momento, non foss’altro che per rispetto di quelle morti assurde e inaccettabili. Quanto ai fatti di cui sopra, e specie in relazione a quelli di Farmacia, non si può non contestualizzarli, se si vuol cercare di intravedere qualche verità (da ricordare che il nostro Paese ha un triste primato negativo, in fatto di verità). Ma non si può, qui ed ora, aprire un’inchiesta. E prima di riportare il discorso sull’insensata associazione tra i fatti di Catania e il ruolo di INTELLETTUALE SCIASCIANO sarcasticamente attribuitomi dal sagace Agus (che spero si ricordi che ogni intuizione che non trova riscontro in fatti o dimostrazioni resta solo una scialba masturbazione mentale), informo i lettori che soffro di una salutare allergia per i santini (di qualsiasi natura e specie), e che mai ho manifestato interesse per Di Pietro. Quanto alla definizione di “intellettuale sciasciano”, credo si tratti di un indebito e inaccettabile sintagma. Indebito perché un intellettuale non è mai sciasciano, o pasoliniano, o calviniano, o lucarelliano. Un intellettuale si definisce tale in quanto intelliget, in quanto cerca cioè di penetrare la realtà, di comprenderla e disvelarla, spesso sollevando comodi velari su scomode verità. Inaccettabile perché offende l’intelligenza di chi proprio l’intelligenza prova ad esercitare. Quanto a me, sono soltanto un giovane che ha scelto la letteratura quale specola privilegiata di osservazione della realtà (oltre che quale arte e passione prediletta), ben consapevole di dover ancora percorrere molta strada, e soprattutto ben lungi dal pontificare su tutto e tutti, secondo una fin troppo abusata moda di questo nostro tempo assai greve e povero.
Siamo così tornati alla questione che più mi preme: la letteratura. E non posso intanto non rilevare la malafede e la menzogna del sig. Agus, quando parla di un mio presunto «commento perpetuo alla copia bisunta di Calvino». A parte il fatto che uno che dice di volersi occupare di letteratura e libri non può parlare in questi di termini nei confronti di uno scrittore come Calvino che (anche quando non piaccia) resta universalmente considerato tra i più grandi del Novecento, io non ho mai proferito “commenti perpetui” su qualsivoglia opera calviniana (e a proposito: forse farebbe bene, Agus, magari turandosi il naso, a leggere qualche pagina de I nostri antenati, o de Le città invisibili, o, ancor meglio, delle Lezioni Americane; capirebbe probabilmente il senso della definizione che Giuseppe Antonio Borgese dava della letteratura: «una meravigliosa sintassi della vita, del mondo, dell’uomo, di tutti gli uomini»; a meno che lui intenda i libri destinati ad una specie diversa da quella umana), né su alcun altro libro. Riconosco invece il commento quale normale strumento di comunicazione per discutere di libri, e non solo di libri.
Un’ultima nota: vuol forse insinuare, Agus, che i miei commenti agli spunti di Nicola Sacco pecchino di autoreferenzialità (contro cui ho sempre combattuto),e che poco e nulla abbiano a che fare con la realtà, men che meno con i funesti fatti cui ha fatto cenno? Se così fosse, sarei seriamente preoccupato per lui. E basterebbe – a giustificare la mia preoccupazione – il consenso che il direttore editoriale Agus manifestò nei confronti della recensione che scrissi in occasione dell’uscita di Racconti a vita bassa, il bel libro di Sacco pubblicato proprio da Quarup. Invito i lettori del blog a leggere (o rileggere) quel mio articolo sul blog: credo si veda cosa io pensi del legame tra realtà e letteratura.
Ciliegina sulla torta: scrive Agus che la letteratura genera realtà quando se ne nutre. Giusta affermazione… ma spero che egli sappia cosa esattamente intendessero intellettuali come Pasolini, Sciascia, Volponi, Consolo, quando affrontavano tale argomento. E spero soprattutto che abbia letto qualche pagina del Pasolini corsaro e luterano, o che abbia intravisto le mosche del capitale, o magari si sia imbattuto in qualche pagina de Lo spasimo di Palermo. E lascio da parte Sciascia, prima di beccarmi una denuncia per partigianeria perpetua.
Giuseppe Giglio
A me sembra che l’aspra battaglia - che qualcuno l’abbia provocata o che altri ci si trovi dentro suo malgrado - costringa a spremere il meglio di sé.
…mi sorprendo che il commento agussiano, breve e conciso, possa aver generato un simile risentimento. Tuttavia, pur non cogliendone il motivo (e per mia grossolana insensibilità) saluto con estremo piacere due GRANDI critici che il mondo esterno non ha - non ha ANCORA, meglio dire - conosciuto. E ricordo come in fredde notti marchigiane si passasse la notte a ridere e piangere insieme, conversando di donne e di “cuori graffiati”. Saluto entrambi con il massimo affetto, dicendo al mio fratello mancato che sento molta nostalgia e che presto, spero, lo contatterò…
m.
… inutile dire che non ho mai avuto grossa stima della vostra “maturità” di quegli anni e sarebbe interessante avere le prove di quella che prima facie ne appare una tardiva necrosi (visto il riferimento abbastanza chiaro di uno dei ‘pocoattenti’ interlocutori) … l’incoerenza delle successive scelte di vita ne è l’emblema … quanto ai bros… l’ironia è un dono per pochi … auguro a voi un’utile (e, per quello che intendo, necessaria, quanto tardiva) mala vida, quanto la mia a quindici anni
dark non è ascoltare cure o ‘ian curtis’, farsi una canna o sballarsi, nè tantomeno vestirsi di nero o portare jeans attillati e ridicoli per farsi guardare … è la consapevolezza della pochezza del vivere, è sentire diversamente dagli altri, è ‘perdere il controllo di nuovo’…
cara losta, nel post c’è di me un’ostensione talmente spietata e autocritica che forse non hai colto. l’argomento era proprio l’imposiibilità di una coerenza dark a queste latitudini a meno di non pagare un prezzo molto, molto caro. e di certi malesseri cosa resta? “cosa resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? col tempo tutto si riduce a un risolino di stupore per essercela tanto presa… ” - cito a memoria per cui chiedo scusa per eventuali inesattezze.
l’incipit di questo libro (che dolore vederlo replicato agli AMICI di Maria!) resta per me un manifesto tanto letterario quanto politico.