diario di un giullare timido, letteraria
I piccoli amici
Da tempo vado contemplando Il Piccolo Principe.
Da tempo ho smesso la lettura del Piccolo Principe e ne ho cominciato la contemplazione.
L’aver parlato de L’amico ritrovato su questo blog, probabilmente mi sta offrendo il destro per rispolverare risorse comuni ai due libri. A partire dal concetto di amicizia come matrimonio dell’anima, formulato esplicitamente nelle pagine di Uhlman ma non per questo meno presente e meno possente dentro quelle di Antoine de Sainte-Exupéry.
Dicevo della mia estasi contemplativa. Potrebbe sembrare un eufemismo per attenuare il carico di banalità nell’espressione: Il Piccolo Principe, il mio libro sul comodino. Ma comunque la si metta io continuo a vedere, neanche fosse la televisione, il Piccolo Principe. Continuo a vedere il libro, dove a pag. 15 ho appuntato: il non vedere eccita la creatività. Il piccolo principe non ha bisogno di un adulto che gli spieghi le cose (anche perché “i grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta“) ma di qualcuno che lo aiuti a creare il proprio mondo.
Si parla qui di un libro che lotta contro la damnatio memoriae: la cancellazione del nostro essere stati bambini. Ed è esattamente in questo punto delle mie considerazioni che mi sono venuti in mente Dàniel e Michelino dei miei RAVB, su quella forza ansiogena che agisce nel secondo di non doversi mostrare bambini e su quel puntellare del primo: “Guarda che siamo dei bambini“. E contemplo quindi la dedica di Sainte-Exupery: A LEONE WERTH, quando era un bambino.
Contemplo il misuratore di grandezza (il disegno riportato anche in questo post). Lo strumento che misura quanto davvero si è grandi è quello in grado di dirci quanto capaci siamo di vedere oltre le apparenze. E come l’elefante dentro al boa anche il disegno della pecora: non la pecora ma una cassetta con tre forellini. Ricavo, da questo, persino consigli di scrittura, sull’arte di nascondere che aiuta a far vedere le cose. Altri consigli di scrittura sono ricavabili dalle magistrali caratterizzazioni dei vari personaggi incontrati dal piccolo principe nel suo viaggio attraverso sei pianeti prima di arrivare alla Terra.
Contemplo la bellissima prefazione di Nico Orengo, scrittore che niente altro ha prodotto che fosse in grado di interessarmi.
Contemplo le inquietanti analogie tra gli accadimenti del libro e la biografia del suo autore. Le contemplo con le lacrime agli occhi.
Contemplo i quarantatré tramonti come il passaggio all’età adulta: il giorno triste in cui si impose a un bambino di sei anni di rinunciare al disegno. In quello stesso giorno il bambino di sei anni potette assistere a ben quarantatré tramonti.
Il significato di crescere: imparare a fare a meno della cura degli altri.
Contemplo la poesia primigenia di questo libro. Straordinario, per me, l’uomo d’affari che conta le stelle nel cielo allo scopo di possederle (”E che te ne fai di queste stelle?”, “Che cosa me ne faccio?… Niente. Le possiedo.” , ” E a che ti serve possedere le stelle?”, “Mi serve ad essere ricco.”)
Contemplo il piccolo principe epifanico ai bordi delle mie lenzuola insonni e faccio tutto quello che mi ordina senza mai trasgredire.
“Quando un mistero è così sovraccarico non si osa disubbidire.”
21 Apr 2009 Nicola
Non so perché ma per me questo è un discorso che ben si attaglia a quello sul ‘reale’. Il Piccolo Principe è lì, o qui, cioè fuori (fisicamente nel libro) e dentro (nel mio interiore) e per ciò stesso è reale. perchè la realtà oggi consta anche del Piccolo Principe. Perché il reale è solo una possibilità dell’immaginazione, cioè un caso particolare di tutto quanto è possibile immaginare. Questo lo si sa se si è letto GIUSTIZIA.
caro nicola, mi stavo innervosendo con tutti questi rimandi al P.P., che ho sempre considerato un’opera sopravvalutata e sovraesposta. Ma forse mi ero arenata all’inisitenza del merchandasing e del copyright, che ha spalmato quei disegni dal tratto fine e forse veramente ingenuo in ogni pertugio e ne ha citato le frasi appiccicandole agli oggetti più leziosi e deliziosi ( tazze da tisane,pochette porta assorbenti, calendari perpetui).Ma non posso contestare che sia diventato un tuo libro epifanico. un testo cioè che vada ben oltre il suo contneuto narrativo e sia in grado di suggerire immagini alla tua scirttura.
dove sono finiti i Ns commenti? censurati?
Non so cosa sia successo. Anch’io avevo visto più di un commento a queste note su Il piccolo principe. Spero si sia trattato soltanto di qualche inceppamento del software. Mi riesce difficile pensare alla censura, almeno in questa sede. Direi che intanto la cosa migliore sia riprendere a scrivere e a confrontarsi, tanto più che le questioni e i temi non mancano, peraltro ad offrire l’ennesima dimostrazione di quanto possa essere utile la letteratura, e ben al di là del fatto estetico. La letteratura, quella che Sciascia così definiva: “un sistema di “oggetti eterni” […] che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità. Come dire: un sistema solare”. E si può felicemente divagare tra questi “oggetti eterni”, alla scoperta del pianeta uomo: e così - a voler riprendere un commento che collegava il Piccolo Principe a Giustizia - direi che entrambi questi “oggetti eterni” fissano i loro occhi sull’uomo, sulle sue possibilità. E così, parafrasando un lacerto del durrenmattiano Giustizia (”Ancora una volta voglio sondare scrupolosamente le probabilità che forse ancora restano alla giustizia”, che Sciascia ha scelto quale epigrafe di uno dei suoi capolavori, Una storia semplice), si potrebbe dire, per entrambi i libri: ancora una volta voglio sondare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano all’uomo. Tra gli apocalittici scenari di Friedrich Durrenmatt, in un mondo in cui persino il diavolo è stanco e in cui si può morire “di quella libertà che concediamo e che ci concediamo”, in un mondo che assomiglia sempre più a “una polveriera in cui non è vietato fumare”. Oppure nella dimensione del fantastico che ci offre il libro di Antoine de Saint-Exupéry, dove il fiabesco e il realistico, perfettamente complementari, rapidamente schizzano un personaggio-uomo che rischia di perdere - se non l’ha già persa - una delle sue più straordinarie stagioni: quella dei bambini… E come non pensare a quelle righe de Il cavaliere e la morte, quando il narratore divaga sui bambini, e li immagina (siamo nel 1988): “ancora capaci di gioia, di fantasia: ma li aspettava una scuola senza gioia e senza fantasia, la televisione, il computer, l’automobile da casa a scuola e da scuola a casa, il cibo ricco ma dall’indifferenziato sapore di carta assorbente. Non più , nella memoria, la tavola pitagorica, “La donzelletta vien dalla campagna…” […] la memoria era da abolire, la Memoria; e quindi anche quegli esercizi che la rendevano duttile, sottile, prensile […] nelle città tutto era, per necessità e per scienza, da pollaio. E c’era chi si preparava a farli nascere come mostri, magari prodigiosi, per un mondo mostruoso. “Quello che noi facciamo” gli aveva detto una volta un famoso fisico, “è da considerarsi rose e fiori in confronto a quello che fanno i biologi.”…
Kafka diceva che un buon libro deve colpire come un pugno, scuotere il lettore e la sua consueta visione delle cose. Semplicemente mostrando. Perché la lettaratura, questo sistema di “oggetti eterni”, non fa altro che mostrare.