diario di un giullare timido, letteraria
Quando il romanzo lo scrive il film
E a proposito di ‘far decantare le cose’, torno solo ora dalla lettura di Gomorra, dopo aver lasciato che si accumulasse polvere sul libro per ben tre anni. Acquistato alla sua prima uscita e subito deposto in uno scaffale della mia libreria, avrei voluto che sul fondo del caso Saviano si depositassero tutte le distorsioni mediatiche per poi poter sprofondarmi nella lettura del libro finalmente chiarificato ma, ahimè, devo constatare che non è mai stato possibile in tutto questo tempo togliere l’ingombro del film e degli oscar mancati, della scorta, della fatwa dei casalesi, delle polemiche sui giornali, dei nuovi interventi giornalistici di Saviano e del conseguente, rinnovato clamore attorno all’affaire. E poiché sospettavo il libro un po’ troppo schiacciato sul cronachismo, per non perdermi completezza di informazioni a sicuro rischio di obsolescenza, mi son dovuto affrettare a leggerlo. Ma non diversamente da come affronto la lettura quotidiana de la Repubblica: compulsivamente. Nell’ossessione di avere il presente interamente monitorato, dominato e posseduto, e nella penosa illusione che quante più numerose e dettagliate sono le informazioni che dal presente riesci a ricavare tanto più accresciuta, puntuale, agguerrita e centrata sarà la capacità di scavo della tua lingua al cospetto della realtà. Il tutto secondo una logica però malata, che ottiene l’effetto opposto: ti porta pian piano lontano dai libri ma sempre più addosso ai quotidiani, ai settimanali, alle notizie on-line. Ecco, Gomorra l’ho letto con questo personale spirito di stare andando lontano dai libri e più vicino, anzi sempre più dentro la mia personale coazione a ripetere l’inutile lettura di articoli, critiche, recensioni della cosa. Un demente girare attorno alla cosa a scapito della discesa, dello smarrimento NELLA cosa.
Aggiungo però, a lettura ultimata, che Saviano ha scritto un libro di grande valore e che tale valore vada inscritto in qualche branca delle discipline intellettuali ma non certo nella Letteratura, ambito nel quale mi sembrava claudicasse.
E poi di Gomorra: Saviano ha scritto il libro ma il romanzo l’ha scritto il film. Li si pongano a confronto e, a parte l’ovvia considerazione che senza il libro non ci sarebbe il film, mi si dica in quale dei due mezzi espressivi si rintracciano i segni di una grande narrazione.
08 Lug 2009 Nicola
[...] Guarda Originale: Nicola Sacco » Quando il romanzo lo scrive il film [...]
mah… il “libro” aveva già venduto milionate di copie, quando uscì il film. del resto, vende persino “Rossovermiglio”. non saprei dire se “il romanzo lo ha scritto il film” o se invece, più probabilmente, vengono entrambi da un’unica (consapevolissima) sorgente.
insomma, boh.
Hai detto bene, Nicola.
Gomorra appartiene alla cronaca, non alla letteratura. Non, almeno, a certa letteratura: quella che prefigura la realtà, che la anticipa, che la mostra prima che accada.
Quanto a parlare di romanzo, poi… direi che ne siamo abbastanza lontano.
Vidi, qualche mese fa, in televisione (e poi scrissi queste righe), la lezione sulla camorra di Roberto Saviano e il successivo incontro con due big della narrativa mondiale: David Grossman e Paul Auster.
A parte la solidarietà e l’appoggio incondizionato alla battaglia che il giovane scrittore napoletano sta conducendo, devo dire non solo, vorrei fare alcune considerazioni a contorno rispetto alla figura che il personaggio Saviano sta assumendo tramite i media e i relativi risvolti sulla vicenda.
Mi rendo conto che l’argomento è delicatissimo e va affrontato con una cautela e sensibilità che non devono assolutamente intaccare quanto di buono il fenomeno produce.
E una prima riflessione va fatta proprio su questo. Quanto di buono sta producendo il fenomeno Saviano?
Sicuramente un forte impatto nell’opinione pubblica provocato dal grande dispendio di energie profuse da carta stampata e televisioni. Ma quello che servirebbe, adesso, al paese, lo diceva Grossman, è il SOSTEGNO DELLO STATO.
Qualcuno lo ha riscontrato? La pressione sull’organizzazione criminale della camorra non può risolversi in una dimostrazione di forza puntuale e momentanea, come quella che ha portato alla cattura di Setola.
Non a caso le parole sono di Grossman che di interventismo governativo ne sa qualcosa; ha perso un figlio, Uri, durante una delle cieche, micidiali, rappresaglie israeliane, quella in Libano, lo ricorderete (e cito Saviano che a sua volta ha citato Kennedy: perdonare sempre dimenticare mai).
Le battaglie nostrane, invece, sono brevi e uterine, finalizzate unicamente a tranquillizzare l’elettorato smemorato. La cattura di Setola come atto dimostrativo e non come la prima tappa di una guerra da vincere a ogni costo. Dopo qualche giorno non se ne parla più. Ci sono ancora i soldati nel casertano o sono andati via? Stiamo cercando qualcun’altro o abbiamo smesso? E se abbiamo smesso, o almeno rallentato visto che non si parla di niente, per quale ragione visto che tutti i giorni avvengono omicidi di camorra?!
Ogni tanto una retata, come quella di ieri, ma poi? Restano in carcere o ne escono il giorno dopo?
Non siamo stupidi, o almeno non lo siamo quanto pensano. Tutti possiamo quotidianamento vedere con quanta precisione e facilità sconosciuti microcriminali possono essere individuati e catturati; è bastata l’attivazione di uno dei cellulari rubati per arrestare i secondi due rumeni della Caffarella, possibile che i componenti delle “paranze” non abbiano il cellulare? Possibile che migliaia di affiliati vivano senza il cellulare? Basterebbe il piglio che viene tirato fuori in occasione dei micro episodi, modello “porta a porta”, per sgominare intere organizzazioni malavitose nel giro di pochi mesi.
E allora siamo sempre alle solite. Tutto deve avere un aspetto spettacolare e quindi televisivo, altrimenti, se non fa audience, non avviene.
Ricordo che una decina di anni fa uscì un film che si intitola “Pater familias”, proiettato solo in poche sale, praticamente identico a “Gomorra” (film). Non lo ha visto nessuno perché, evidentemente, non era di moda la lotta, mediatica, alla Camorra.
Solo così può essere compreso l’appello affinché la lotta alle mafie diventi una moda. Ma tutto questo è INACCETTABILE perché se c’é bisogno di invocare la moda per sollecitare il DOVERE, vuol dire che molte persone non lo fanno, e noi, adesso, finalmente, sappiamo di chi si tratta.
A onor del vero uno dei migliori momenti, per temperatura letteraria e tensione analitica, di Gomorra libro è proprio quello in cui Saviano esprime una certa amarezza per l’allestimento del circo mediatico, ben prima che l’autore e la sua opera conoscano la fortuna di cui sappiamo.
La guerra di Secondigliano ha mietuto le sue vittime e a un certo punto sono arrivate le retate della polizia. Hanno arrestato uomini: padri e figli, mariti e cugini, vicini di casa e datori di lavoro. E le donne di questi uomini si sono sollevate:
“Questo gigantesco dispiegamento di forze dell’ordine che arriva all’improvviso solo dopo decine di morti, solo dopo il corpo torturato e bruciato di una ragazza del quartiere, sembra una messa in scena. Le donne di qui sentono puzza di presa in giro. Gli arresti, le ruspe, sembrano qualcosa che non va a modificare lo stato di cose, ma solo un’operazione a favore di chi ora ha necessità di arrestare e buttare giù pareti. Come se d’improvviso qualcuno cambiasse le categorie d’interpretazione e dicesse che la loro vita è sbagliata. Lo sapevano benissimo che lì era tutto sbagliato, non dovevano arrivare elicotteri e blindati a ricordarlo, ma sino ad allora quell’errore era la loro forma prima di vita, la loro forza di sopravvivenza. In più nessuno, dopo quell’irruzione che la complicava e basta, avrebbe davvero cercato di cambiarla in meglio. E allora quelle donne volevano gelosamente custodire l’oblio di quell’isolamento, di quell’errore di vita e cacciare chi d’improvviso s’è accorto del buio.”
Ho voluto citare questo passo perché mi sembra che faccia giustizia anche di una certa cartolinizzazione delle donne dei boss meridionali. Anche qui a Bari, quando si riversano in strada a stracciarsi le vesti o addirittura a menare le mani, in un corpo a corpo drammatico con gli agenti di polizia, per impedire loro di portar via quello a cui più tengono, evidentemente non eseguono uno spartito. O per lo meno, non solo.
Certo che se quotidianamente leggi Repubblica, sei proprio ridotto male…
Un saluto dal profondo nord…