Prima delle protesi e dei caballeros
Il mare di pettegolezzo antico è lontano una manciata di chilometri. Ma il pettegolezzo informa tutta la provincia, dove non si è mai stati abituati a dire la verità neppure sulle piccole cose. Ecco perché si diffida sempre, si diffida anche dell’onestà e delle passioni spassionate, disinteressate, reputandole travestimenti del solito tornaconto personale. Per conseguenza si cresce storti, nutrendosi di argomenti contorti, si viene su doppi e vili, ferocemente capaci di svilire l’opera buona. Pettegoli e miscredenti di qualunque benemerenza. Niente a che vedere con un salutare scetticismo o con una certa accortezza critica sui fenomeni del mondo. E su tutto una religiosità esteriore, buona per svoltare ogni cosa, ogni tragedia, ogni evento, in processioni e liturgie e celebrazioni. La vita manca, asfissiata dal cattolicesimo di facciata.
Tragedia non v’è mai. Nonostante il dramma della vita quotidiana.
Sentimenti urlati, come in caso di lutto, ma mai veritieri, mai che siano di quelli che innescano una reazione. Inerzia del sud. Gliela devo raccontare io a Bossi, anche se non se la merita. L’aria è satura di fiori che marciscono al caldo e dell’odore di popolo creato, nonostante tutto.
La libertà è una vertigine, e perciò, per non subirne i giramenti di capo e per non vomitare a nastro, la si appalta alla borghesia burocratica e ai preti. E si finisce col cappello in mano su antichi cisternoni seminterrati, sulle cui lisce e biancheggianti pietre sfileranno i politici per le loro autoconsacrazioni; si vegeta in perenne soggezione dei potenti distributori della carta bollata, delle certificazioni e delle raccomandazioni; oppure in inutile adorazione dei cristi illividiti sulla croce o delle addolorate fazzoletto paracolpi in mano. La parte migliore di tutta questa devastazione è che può capitare di mancare la tragedia anche per una certa capacità di commedia, cioè per un’infinita capacità di recupero. Possono: degradarsi il centro storico, sconocchiarsi le antiche mura, erigersi sputatori di veleni, immerdarsi le periferie, strozzarsi le viabilità, involgarirsi gli uomini, immignottirsi le donne (sempre onorevolmente, attenzione!), imminchionirsi i vecchi alle panchine sudice. Può terrificarsi un mondo, ma ci sarà sempre qualcuno a dire: eeeh, campe ‘u verme sotte o’chiancone …
È il trionfo del CANTACHETIPASSISMO. Nella rovina e nella bruttezza LA NOSTRA GRANDEZZA.
18 Ago 2009 Nicola
E I COGLIONI UN Pò SI LEVIGANO
In altri tempi, pezzi come questo avrebbero degnamente trovato posto sulle pagine di autorevoli quotidiani: quando autorevoli firme (Moravia, Pasolini, Sciascia, Calvino, Volponi…) tentavano di mostrare il senso del vivere, saldamente poggiando su un salutare scetticismo, agilmente districandosi in un vario e vasto teatro della memoria.
Che cosa ne resta, oggi? Quasi nulla…
Solo poche, coraggiose, misconosciute prove, in un Paese, il nostro, che ne diventa sempre più insofferente, che diventa sempre più piccolo. Con buona pace di chi ogni giorno si sgola a magnificarne l’odierna grandezza.
TUTTI QUANTI, GATTOPARDI E SCIACALLI … CONTINUEREMO A CREDERCI IL SALE DELLA TERRA