La musogonia modugnese volge al clamore d’un epos de’ fognoli: la sistemazione idrica cui “eroicamente” pervenne al crepuscolo del 2010 - ad onta dell’azione cospirativa di un’urbanistica pastrugnatrice guidata per anni da giove congestionatore, coi ben noti risultati di edilizia perniciosa e circolazione automobilistica demenziale alquanto. Tutto ciò mentre si locupletavano le finanze dei costruttori e la vita gli scivolava dolcemente sottoculo e senza gran livore dei soliti pezzenti elettorali. Eppure già dal pleistocene inferiore la fognatura pluviale era già bella che sistemata, con tutte le acque ben inalveate in una testimonianza dell’antiqua azione erosiva osservabile ancor oggi nelle grandi incisioni della roccia calcareo-tufacea, cioè a dire nell’evidenza di inghiottitoi, lame e canaloni. Dalla natura, in altre parole, c’era solo da imparare e non già mettersi a contraddirla regolarmente credendo di colmare le sue falle. Si è ritenuto di ingorgare la bellezza di gravine e cave nella smania di riempire ogni buco. Questa l’essenza dell’industrialesimo meridionale. Fenomeno che nello scodellamento incessante di nubi letali potrebbe essere ascritto a una singolarissima forma di dipendenza battezzabile tossicomania per conto terzi. Curioso che tutto ciò avvenga in una modugnesità di cornice perfettamente in sintonia col sedicente federalismo leghista: ragioni del territorio che involvono – non diversamente dal secessionismo padano – in provincialismo belluino, degenerano cioè in anarchismo da cortile appena contemperato da certo pianerottolismo balzellare. A guardar meglio poi tra le trippe e le medulle di cotesta cittadina si ricava come l’impressione di una spaventevole fistola in succhio dell’invidia, cosa che ovviamente macera e mantrugia anche i cervelli più fini saliti alla consiglierìa comunale, impegnati a posar la chiappa nel bel mezzo di un mercoledì sullo scranno posto alla confluenza tra Alterigia e Cupidigia, e una darsena di complotti a portata di culo (degli altri). E le consorti dai delicati lardelli, esemplari di donne di elevato sentire, a scovare presso “Tegumenti preziosi”, quei poliedri gemmanti che consentano loro l’esibizione di un più squisito sentire, per defungere a sera con la capa persa nella museale scrittura di “Nuovi Tegumenti”, credendo di rifulgere così pure anche nei propri breloques intellettivi, mentre nell’altra stanza badanti ucraine restano impegnate a spolverare la santità dei lari domestici e restituire splendore al tabù dei deretani più decrepiti e immerdati.