fioretti in merda
Ora cisterna ora lucerna sono le stazioni nel mio cammino. Mi ci fermo quando s’impegna la notte a smaltire il torrido estivo. Nella casupola spersa tra gli olivi un bimbo morto; dalla finestra giunge un chiarore ed il pianto.
Cristo aiuta gli artisti.
Al risveglio campane a morto, vipere guizzanti tra le pietre. L’impietosa luce senza più contorni, dilatata dalla furia martellante delle cicale.
Ché quelli di fuora ci pensano da per loro.
Me ne torno al paese per vedere come è venuto il mantello nuovo di sant’Anna. Sotto porta Centanime, in una viuzza tutta pisciata, pestano a sangue un ritardato: la carna triste non la vòle Criste.
26 Lug 2010 Nicola
sembra quasi un haiku
Cristo aiuta gli artisti.
Ché quelli di fuora ci pensano da per loro.
La carna triste non la vòle Criste.
a parte le “radici” che intridono costantemente questo blog, mi sembra di aver scritto una cosa molto bella, no? bella e atroce. no? ma non sono allla ricerca di complimenti. non fatemene. scrivetemi una cosa bella e atroce anche voi.
anche tu, Fabio. scrivila dove ti pare ché tanto ti vengo a vedere.
MI interessa molto la sottigliezza che per “artisti” in questo detto si intendano coloro che sono impegnati in lavori artigianali. Questo fatto, nel sentimento popolare, dovrebbe nobilitare il concetto di “arte” ma purtroppo così non è, visto che l’arte, sempre in tale contesto, sembra essere un mondo che non ricomprende l’artigianato e la costellazione dei mestieri ma piuttosto viene additata sempre come qualcosa che non porta guadagni e magari espone pure allo scherno. secondo me, riscoprire le proprie radici, banalmente, significa anche porre più attenzione sull’impiego primigenio di certe espressioni e sulle ragioni della genesi del detto popolare.
“Poichè chi di qualunquismo altri taccia
alla propria pagina pubblica pubblicità piaccia
l’artigiano non domanda e offre
l’artista soffre e soffrigge
e moralizza lì dove l’artigiano,
astigiano o trevigiano,
buon vino lavora e spinge.
L’artista autonominato e autopromosso
è poco umile ed insicuro
ossimoricamente s’indispettisce
mentre onomatopeicamente quell’altro lo affligge”
Va bene per il millantato credito d’artista però io mi riferivo al ludibrio cui viene additato l’artista che non fa, mettiamo, il “ferraro” o il “mastro d’ascia”. ho la sensazione, in altri termini, che l’artigiano nella vulgata non abbia nulla a che vedere con l’artista. chi fosse capace di vedere la componente “artistica” nel manufatto artigianale, sarebbe anche in grado di riconoscere quanto artigianato c’è nella creazione artistica a cui molti, ormai, negano importanza e valore solo perché in essa non si intravvedono possibilità di immediato guadagno. e qui si entra in un dibattito già rovente. quanto ai sedicenti e autopromossi artisti, dio ne scampi, però pare che oggi basta dirsi “sono il più grande statista degli ultimi centocinquanta anni” e subito si trovano molti (cioè milioni di persone anche) pronti a ribadirlo. Dunque se hai quell’abilità lì, se hai negato autorità a tutti gli istituti concepiti per la selezione dei “migliori”, di qualunque sfera si parli, non praticare l’autopromozione è la più grande forma di autolesionismo. Io infatti non la pratico e ci ho diversi denti miei piantati nella carne. Mia.
La discussione è interessante e provo a perdermici dentro.
Qual è lo spartiacque tra un artista ed una persona qualunque.
Al giorno d’oggi si è tutti artisti, giornalisti, scrittori, medici ed avvocati.
Per comprendere un’artista bisogna avere una certa cultura.
I sedicenti artisti di cui tu parli, a mio avviso, sono “solo” abili artigiani (sennò come spiegarsi quel milione di persone che seguono questi artisti, dovrei credere che sia tutta gente di cultura).
Chi vende di più i propri pezzi scontati? L’artista o L’artigiano?
Secondo me l’ artista artigiano.
Chi è piu diplomatico: un artista o un artigiano? Chi piu indipendente?
La risposta non è scontata seppur a buon mercato.
Penso che l’artigiano sia più indipendente e più diplomatico di un artista. Deve esserlo per necessità.
Il commercio è/deve per eccellenza essere “diplomatico”. Non venderebbe un picchio, altro che pinguini a pois.
Ciò che manca all’artista rispetto all’artigiano, a volte, è la dignità.
L’artista subisce il “peso” dell’assenza di funzionalità dell’opera d’arte e per questo motivo a volte smarrisce il senso.
A ogni colpo di pennello dì a te stesso, sempre: ‘io mi faccio i cazzi miei, io mi faccio i cazzi miei …’ la tua opera ne guadagnerà poiché non si sentirà osservata.
I tuoi denti piantati nella tua carne sono una tua scelta o una tua virtù?
Chi fabbrica lo stupore? Chi fabbrica il credo ? Chi sa far meglio del profumo dell’alloro?
Ho dato una letta veloce, devo andare a lavorare ma mi piace molto questa discussione. Non vedo l’ora di riprenderla. A presto.
Vediamo allora, c’è diversa carne al fuoco: 1) i sedicenti artisti di cui io parlo, seguiti da milioni di persone, appunto in quanto sedicenti non sono affatto degli artisti e men che meno buoni artigiani. Chiaro che questo è solo il mio punto di vista, però in molta di quella gente io vi vedo non solo tanta povertà di spirito, tonnellate di nulla che ha stabilito di doversi piacere e di dover piacere ad altri attraverso l’occupazione ad oltranza dei teleobiettivi, colonie di mediocri in cerca di legittimazione in quanto tali, e in quanto tali incapaci di un qualunque lavoro artigianale che richieda non dico talento ma un minimo di applicazione, ricerca, studio, approfondimenti e un buona dose di pazienza per l’attesa dei risultati. mi rendo conto che questo è pensiero strutturalista in piena regola da cui discende che il risultato è la conseguenza del bel gioco, ma questo sì è il mio credo e non altro. il momento creativo per me è solo valore aggiunto all’opera, ma sarebbe già cara grazia che sul mercato ci fossero uomini competenti e opere ben fatte, merci che soddisfano, televisori che non si guastino, ricevitori che ricevano, e via dicendo … hai capito, insomma.
Il sottoscritto vede iinvece sul mercato, oppure sul campo da gioco o da battaglia, o come diavolo si vuole intendere, individui divorati da una fretta senza senso, sia nella fase del lavoro e della manodopera che in quella del consumo, e quando poi si smaschera che il lavoro non era ben fatto e che il consumo non è stato appagato allora si ricorre a una melassa di parole molto comunicative, cioè a una comunicazione fine a se stessa il cui unico scopo è negare l’evidenza. In tutto ciò non c’è né arte né buon artigianato, ma solo una recita (da cani, peraltro) dello stesse idiozie ripetute di bocca in bocca. anche duepalle sarebbero da preservare poi no?
2) L’artista, dici, rispetto all’artigiano manca di dignità. Ma a quale artista ti riferisci? A quello che smarchetta una vita intera perché ha vagamente capito che senza prostituzione non c’è arte oppure a quello che mettendosi a nudo e scavando tra le sue miserie si soprende, si scopre, si ritrova totalmente indegno? E quest’ultimo, se è un Artista, non diresti che tale operazione la stia compiendo a nome di tutti?
Avrei voluto traghettare la discussione da tutt’altra parte ma sia il tempo a mia disposizione che il tuo intervento mi costringono a sollevare vari interrogativi necessari per tracciare la linea guida di questa discussione.
1) Si può essere artisti senza fare l’artista (una sorta di ci sei o ci fai)? Mi spiego meglio. Qual è la condizione “sine qua non” un artista sia tale? Il successo non credo, la critica, il numero delle recensioni o dei recensori? Chiunque può sentirsi artista ma non esserlo.
Quando e se, l’arte diventa,o può diventare, lavoro cosa accade? Come cambia l’animo tuo dinnanzi al mercato? Questa “eiaculatio precox” artistica o sveltina artistica (mi riferisco al tuo concetto di “fretta”) non possono essere cause del “lavoro” dell’artista, quando si parla di artista.
2) Il riconoscimento artistico o ancora di più la notorietà e la dignità artistica sono quasi sempre state figlie dell’estrema unzione
Provo a darti le mie risposte: l’artista è colui che codifica (non escludo che all’uopo adoperi altresì bellissime equazioni squisitamente matematiche, “pervenendo anche a integrare” scrive il mio diletto ingegnere), dolori sempre uguali problematizzati dal tempo in cui vive, tempo che li fa percepire come nuovi e più angosciosi, nonché ribelli ad essere consegnati all’espressione artistica: dunque l’artista doma, soggioga, e addomestica con la sua peculiare forma espressiva la realtà che agonisticamente gli si vuol sottrarre. In questo di veramente bravi ce ne son pochi. Ma non basta: l’artista non trascura che tutto questo sorge da - e sempre risponde a - un ordine antico e tragico; l’artista indi non tralascia l’ironia per dipingere lo scarto tra l’uomo tutto agghindato di attese, illusioni e aspettative e la realtà che si prende beffe di lui. Se vende o non vende, in definitiva non sono cazzi miei. E neppure i suoi.
L’artista lavora sempre, per l’intero arco della sua esistenza, all’oggetto della sua indagine. E artistico non è il lavoro da lui prodotto, ma quel poco che da lui si stacca inavvertitamente, a sua insaputa. Ed è questa la ragione che complica la faccenda dei riconoscimenti: figurarsi che neanche l’artista sa di esserlo e vorremmo che fosse il mercato (mai veramente libero, mai davvero autoregolato, mai efficiente) a decretarne lo status? Mah …
Resterebbe il criterio dell’autoevidenza dell’opera d’arte, ma per applicarlo ci vorrebbe un mondo ripulito dalla disonestà intellettuale perché l’autoevidenza vi si presta parecchio… il criterio dunque, l’unico applicabile per selezionare e discernere, potrebbe essere solo adottato da una cerchia di persone legate da salda amicizia, cioè disinteressate allo sgarbo, all’inculata e allo sputtanamento.
Poi ti volevo dire: traghetta pure dove ti pare; deraglia come puoi.