Onore e lode a questo compositore della Spoon River della Murgia, questo cantore di una terra e di uomini che non si comprende forse quanto ancora profondamente arcaici sanno essere. Rendiamo grazie a questo collettore di traiettorie tra la sozzeria e la solitudine, questo interprete di una tradizione magari finta ma che finisce per essere la più schietta e sincera, in definitiva la più autentica tradizione; questo De Andrè delle Puglie, menestrello inassolto e anticlericale quanto basta.

E infine, e insomma: macché De Andrè, ma quali Bob Dylan ed E. L. Masters in presunta salsa italica del sud-est. Questo è Enantino, conosce i Padri del cantautorato italiano così come affronta il patrimonio identitario che canta: per creare una cosa che dissacra due volte: in ambito musicale e in un ambito squisitamente retorico, disintegrando la credenza di un “piccolo mondo antico” che, per l’appunto, non è mai esistito. E al tempo si pregiano, i brani di Enantino, di un coefficiente poetico tra il ragguardevole e l’eccelso, capace di esiti molto coincidenti con la mitologia che meritammo.

Sempre di queste parti io parlo, eh …?