Che può la vanità
Gli sembrava … come dire … congruo, equo, affrontabile: “Tu, domani mi fai trovare settecento euro sul conto e io ti credo”. Enzo, rivolgendosi al cielo, gesticolava anche duramente.
“Smettila”, diceva chi lo stava ad ascoltare.
“Scusa, ma perché, ci rendiamo conto?” Ruotò gli occhi arrossati sul volto di lei. “Che cazzo gli sto chiedendo: settecento euro. Settecento euro noi due ce li sputtaniamo subito, per sopravvivere. Mentre lui ci guadagna un devoto per tutta la vita. Cioè, mi sembra che sia il minimo, no? Cioè, ma neanche il minimo: il basilare, il necessario. Gli sto chiedendo solo la possibilità di far fronte ai giorni, comprare il pane domani, sbattere uno sguiccio di benzina nella scassa e non farmele tutte ma proprio tutte a piote. Possibile che sembri una richiesta assurda?”
“Non è così.”
“Perché no? Questo regalo a lui non costa nulla. Se uno non ci crede ma è disposto a ravvedersi lui qualcosa la deve pur fare, no? Che cosa ci guadagna a tenermi così arrabbiato ed esasperato?”
“Ma com’è che non capisci, Enzo? Lui ha già fatto molto, ti ha regalato un cervello.”
Bum!
Per come lo aveva detto lei, in un tale stato di pietà dolente, sembravano non esserci dubbi. Gli sembrò una cosa così bella, un dono veramente, che non poteva non sentirsi grato, addirittura enormemente e intensamente grato verso colui che gli era stato indicato, in uno squarcio di luce, come Il Munifico.
Non solo: sempre per come lo aveva detto lei sembrava essere logico. Di quella logica ferrea e inoppugnabile di cui si erano sempre serviti gli avversari proprio per negarne l’esistenza. E poi gli sembrò pure che l’ateismo duro e puro era in fondo una faccenda di ricchi sereni, benestanti, pienamente borghesi. E che lui col suo cervello, e tutte le ristrettezze della vita, adesso sai che fior di mistico poteva essere?
21 Set 2010 Nicola