Deve essere proprio una forza formidabile questa che si fa largo sin dall’apparizione dell’uomo sulla terra: l’amorevole cura dei morti e l’agire dei vivi costantemente teso a collocare un segno di interpunzione ben deciso tra la vita e la morte. La sacralità della vita da un lato e la sacralità della morte di segno opposto: due regni agli antipodi che mai devono entrare in contatto se si vuole scongiurare uno spaventoso sovvertimento del ciclo organico. Ecco perché ci si organizza la vita secondo rituali precisi ed ecco spiegata la genesi e l’intramontabilità dei cerimoniali concepiti per ‘organizzare’ parimenti la morte. In questo si ritrova il sedimento mitico, la natura archetipica e quindi profondamente umana, del culto dei morti, del servizio funebre e dell’onorevole sepoltura: elementi ricorrenti dalla notte dei tempi proprio in quanto riferibili a un’ineliminabile pulsione dell’uomo .

Ritorno su questo perché i lettori di questo blog ormai sanno che da tempo vado componendo un catalogo ragionato dell’anaconda (aprire la categoria le torsioni dell’anaconda per comprendere) e mi trovo costretto a cogliere l’occasione nella terrificante vicenda di Sarah Scazzi, io che mai mi avventurerei in sciacallate di questo genere, per ancorare ad eventi esemplari quanto bofonchio e farnetico di post in post. Mi riferisco cioè al sentimento su cui han fatto leva i carabinieri durante l’interrogatorio di Michele Misseri per arrivare alla soluzione del caso (ancorché da verificare). Ciò che ha fatto letteralmente squagliare l’assassino è stato dunque l’eterno motivo sul quale anche il sottoscritto va incardinando i suoi scritti e riflessioni a latere, e precisamente la domanda rivolta all’uomo: “Allora, Michè, gliela vogliamo dare una sepoltura da cristiani alla tua povera nipote?”.