È da quando mi si è piantato nella chiorba il motivo della morte implacata, o per meglio dire, la fissa per le circostanze in cui si manca clamorosamente di onorare comme il faut (non importa il rito scelto per questo) la cosiddetta dipartita, che vado ragionando sulle conseguenze della mala sepoltura e del complementare ma non accessorio, anzi decisivo e storicamente necessario apporto delle onoranze funebri. Al riguardo, può essere altamente illuminante, e comunque caldamente consigliato, il film Departures (vincitore del premio Oscar come miglior film straniero) il quale ha l’enorme merito, tra molti altri, di ripulire il tema da ogni goticismo (si può dire?) per puntare anzi con forza sull’elemento della tenerezza, ossia su quell’aspetto di inerzia e di totale mancanza di difesa che si può cogliere nella figura di un uomo morto. Se per i vivi diventa possibile, rispetto al momento del trapasso di un loro caro, questo tipo di approccio - e si badi , approccio che non rimuove affatto il dolore - allora essi vivi abbandoneranno ogni pregiudizio, e anche ogni superstizione, verso chi ha fatto una professione delle pratiche di ricomposizione e di vestizione della salma. Vedere nel film quanto amore si può imparare, quanta sapienza (per esempio nel lavare un cadavere) non sarebbe stata possibile in questo lavoro se il tanatoesteta protagonista non avesse imparato ciò di cui ho parlato fino alla noia in questo blog: l’amorevole cura per i morti.