«Or discendiam qua giù nel cieco mondo» /cominciò il poeta tutto smorto

Dovevo entrare in confidenza con lui. Dovevo farlo perché era stata l’Incoronata a chiedermelo. Alla notte veniva e diceva in una lagna celeste: «Le creature…, le creatuuuure…».
La prima cosa è stata cercare di capire chi stava dietro di lui. Chi ne era responsabile in qualche modo. Allora ho provato a chiederglielo. Della mamma. Ho cercato di essere cauta nel farlo, non volevo suscitargli cattive reazioni. Lui però non si è scomposto affatto, solo, si è stretto nelle spalle come per dire “chissà”.
«E fammi sentire: dov’è che abiti?»
«Sotto terra», ha fatto lui.
Sono andata a vedere dov’è che abitava. Mi ha condotta in un quartiere popolare, pieno di rosticcerie e di garages a pagamento, abbiamo svoltato in una stradina secondaria, poi improvvisamente si è arrestato, ha scostato col piede delle umide foglie di rapa, si è acciambellato come se voleva fare la cacca, ma non era possibile perché non si era abbassato i pantaloni. Invece ha sollevato una grata metallica e siamo scesi giù per una scaletta.
Viveva in un condotto fognario. Mi ha mostrato la sua stufetta, i suoi giochi, il suo giaciglio. Come mi veniva da piangere! Volevo piangere come aveva preso a piangere la Madonna sul dente guasto. La madonna di Marcianelle.
Dovevo fare di più per quel bambino.
Dovevo portarmelo a casa.
Ci riuscii.
Mio figlio mica la condivideva questa cosa di portarsi gli estranei in casa, che non si poteva mai sapere quale vespaio si andava a toccare e in che guai ci si andava a mettere. Ma che importava. Lui una bella famiglia ce l’aveva, una moglie bella e in carriera, una brava figliola che andava pure bene a scuola. A quel tempo abitavano proprio sopra a casa mia. Ma la verità, io non vedevo per quale motivo dovevo rinunciare al compito che mi era stato assegnato. Il sangue di Cristo non si era mica profuso invano nella flagellazione. Tanto più che Dàniel, pur accasatosi da me, non faceva altro che ripetere che non poteva restarci a lungo, che ormai aveva dodici anni e doveva fare la vita sua, cercarsi un lavoro e guadagnarsi dei soldi.
Dopo qualche tempo mi sorpresi a pensare che per me sarebbe stato doloroso lasciarlo andare. Tuttavia, sapevo bene che il nostro compito dentro al mondo era quello di accudire le creature per poi insegnargli come si deve vivere e non per assicurargli i nostri agi in eterno. Mi dovevo limitare a mettere Dàniel sulla propria strada. Sulla retta strada.

«l’angoscia delle genti che son qua giù, nel viso mi dipigne / quella pietà che tu per tema senti. / Andiam, ché la via lunga ne sospigne».