“Che cazzo stai facendo?” disse il ragazzino pelato.

Un ragazzino coi capelli ricci stava cercando di staccare la bottiglia di coca-cola dallo spago che girava intorno al ciuccio e al quale era assicurata una indescrivibile quantità di roba.

“Fatti i cazzi tuoi!” disse quello con i capelli ricci, guardandolo appena con la coda degli occhi e facendo segno di starsi zitto. Riaffondò le mani tra pacchi di pasta e fiaschi di vino.

Il ragazzino pelato fece il giro intorno al palchetto posato sull’erba pietrosa, raggiunse quell’altro alle prese col ciuccio immobile e lo spinse via con violenza.

“Lascia stare la mia casa!”

Quello ruzzolò per terra e si rialzò furente pronto a restituire la pariglia. Ma c’era qualcosa che non gli quadrava.

“La tua casa?”

“Sì la mia casa, hai qualche problema?”

Il riccio fissò il pelato.

“Dàniel!” Esclamò sorpreso.

“Eh?”

“Tu sei Dàniel.”

“Ma che vuoi?”

“Non ti ricordi di me, Dàniel?”

“Non mi chiamo Dàniel.”

“Sì, e come ti chiami?”

“Giambattista.”

“Sì vabbè, Giambattista…”

“Mi stai confondendo con qualcun altro.”

“Vivevi nell’organetto, mi ricordo benissimo.”

“Eh?”

“In una roulotte a organetto.”

“Ma tu chi sei?”

“Michi.”

“Michi?”

“Michi, Michi. Mi hai fregato non so quanti giochi del commodore!”

“Michi, sì, ora mi sto ricordando…”

“Vedi che sei Dàniel.”

“Io sono Giambattista.”

“Scusa, se tu ti ricordi che io sono Michi, tu devi essere per forza Dàniel.”

“Può darsi.”

“Come può darsi? O ti chiami o non ti chiami.”

“Adesso mi chiamo Giambattista. Tutti mi chiamano Giambattista. Però la verità è che io il mio nome non me lo ricordo più.”

“Era Dàniel.”

“Mi sa che prima ce ne avevo un altro ancora.”

“Meh, come stai? Un bel giorno sei sparito…”

“Mia madre si era scocciata, abbiamo preso e ce ne siamo andati.”

“E ora dove stai?”

“Qua.”

“Qua?”

“T l’ho detto, questa è la mia casa.”

“E la roulotte?”

“Non lo so. Io vivo qui. Mia madre mi ha dimenticato a un incrocio… Volevi la coca-cola?”

“Sì, ho sete.”

Dàniel stacca la bottiglia di coca-cola, cerca in una busta appesa all’asino dei bicchieri di carta e si porta tutto sul palchetto lì vicino. Serve la coca a Michelino.

“E questi?” fa Michelino esaminando tra le mani uno dei ritratti di Padre Pio con le lampadine rosse intermittenti. Altri sono allineati sul palchetto.

“È il mio lavoro. Lo vuoi uno? Dodici euro.”

“E a scuola ci stai andando?” Michelino beve dal suo bicchiere.

“Impossibile.” Dàniel ormai parlava da grande. “Ti va un po’ di tonno? Apriamo una scatoletta?

“Ma sì, va.”

“Tu non sai quanti mila lavori faccio io.” Dàniel stacca una scatoletta di tonno. “E lavoro di notte. La mattina mi mettevo a dormire sopra al banco. E allora vale la pena? Vuoi sentire? Non ci vado proprio più a scuola e finisce la storia.”

“Non ci credo. Mica lo puoi fare.”

“E non ci credere.” Dalla scatoletta prende il tonno con le dita poi lo offre a Michelino. “Io intanto mi sto spaccando la schiena. Però, chiamì che muscoli. Vado a caricare casse di pesce dalle quattro e mezza di mattina.”

“Moh!”

“E tuo padre?” chiede Dàniel a bruciapelo.

“Mio padre che?” fa Michelino infastidito.

“Tuo padre è sparito pure lui, ho saputo. Tua madre è stata allontanata da tutti. La minacciano di morte. Lo sai cosa si dice?”

“No. Dimmelo tu cosa si dice?”

“Lo vuoi proprio sapere?”

“Subito me lo devi dire!” cerca di imporsi Michelino.

“Allora dàmmi la tua cintura.”

Michelino aveva l’ambitissima cintura di El Charro.

“Oh, ma che cazzo ci hai in testa, ah?”

“Quel che si dice… Lo vuoi sapere?”

Michelino inizia a sfilarsi la cintura. Dàniel resta in attesa con la mano che vuole dire dài qua, dài.

Dàniel è entrato in possesso della cintura.

“Si dice che tua madre gli ha divorato l’anima.”

Michelino emette un urlo spaventoso, un urlo di guerra. Gli si scaglia addosso.

“Non è vero!” Si stanno azzuffando.

“È verissimo!” replica Dàniel digrignando i denti.

“Smettila!”

“Al mercato nessuno vuole mai servirla.”

“Sei un pezzo di merda!” Si sono attorcigliati e si tirano per i capelli.

“Il pullman non si ferma se c’è tua madre alla fermata.”

“Farabutto cornuto!”

“Tua madre è una strega!”