Nel quartiere dove sto c’è tanta disgraziata marmaglia tra i quattro e i dodici anni che gioca, schiamazza, delinque, ricatta, bestemmia, ride, piange, sputa, impara, cade, si ferisce, non mi lascia tranquillo mai né concentrato sui libri.

Rizio, otto anni, da ieri ha un occhio bendato perché l’altro è pigro. La sua nuca, selvaggia di capelli sfoltiti troppo raramente, ondeggia tra le figure fanciulle e già racchiude pulsioni inconfessabili.

Me ne sto qui seduto su gradini lebbrosi e a scarsi metri da me Rizio sta raccontando il suo sogno di stanotte ad altri marmocchi.

Dice di essere stato messo incinto da un bambino suo compagno, Stefano, di sei anni. Ed è nata Arianna, partorita dietro un cinquecento parcheggiato qui nel cortile.

“Dice di averne fatti altri duecentociquanta”, rivela un altro, Michelino.

Rido mezzo sbalordito.

Osservo Rizio e penso che tutte le scintille negli occhi di tutta la letteratura mondiale, sono scoccate, o non saranno mai più scoccate, nell’unico suo occhio aperto, spento. Anche se azzurro.