Su realtà e verità
[…] Ma il fatto più importante è la complessità nell’intimo degli uomini singoli che in Omero è raramente percettibile, tutt’al più nella forma cosciente fra due possibili azioni: per il resto la molteplicità della vita psichica appare in Omero soltanto nel succedersi e nell’alternarsi delle passioni, mentre agli scrittori ebraici riesce d’esprimere contemporaneamente strati della coscienza sovrapposti l’uno all’altro e il conflitto fra di essi.
I poemi omerici, la cui cultura visiva, linguistica, e soprattutto sintattica, appare tanto più elaborata, sono invece relativamente semplici nella raffigurazione dell’uomo, e in genere anche nel loro rapporto con la realtà della vita che descrivono. La gioia dei sensi è tutto, e in quei poemi lo sforzo maggiore è di rendercela presente. Fra battaglie e passioni, avventure e pericoli, ci mostrano cacce e banchetti, palazzi e abituri di pastori, gare e giorni di bucato, sicché osserviamo gli eroi nella loro vita di ogni giorno, e osservandoli possiamo rallegrarci nel constatare come godano questa loro vita in atto, saporosa e colorita, leggiadramente inserita nei loro costumi, nel paesaggio, nelle cure quotidiane. E così essi c’incantano e ci attraggono e noi viviamo nella realtà della vita loro, e finché udiamo o leggiamo ci è perfettamente indifferente sapere che si tratta soltanto di favole, e che tutto è “inventato”. Il rimprovero, spesso rivolto a Omero, d’essere bugiardo, è un rimprovero insulso; egli non ha alcun bisogno di farsi forte della verità storica della sua narrazione; la sua realtà è forte a sufficienza: ci avvince, ci chiude nella sua rete, e gli basta. In questo mondo “reale”, per se stesso esistente, entro il quale siamo stati attirati, non c’è nessun altro contenuto, i poemi omerici non tengono nulla celato, in essi non esiste nessuna dottrina né un secondo senso segreto. Si può analizzare Omero, come noi abbiamo tentato di fare, ma non lo si può interpretare. Da certe tarde correnti critiche sono state tentate interpretazioni allegoriche che non hanno approdato a nulla. Egli resiste a un tale trattamento: le interpretazioni sono sforzate e bizzarre e non riescono a cristallizzarsi in una teoria unitaria. Le considerazioni di carattere generale, che si trovano sparse qua e là, manifestano un quieto abbandono a ciò che nella vita umane è ineluttabile, ma non il bisogno d’almanaccarvi sopra, e meno ancora un impulso passionale a ribellar visi, o ad assoggettarvisi in una dedizione estatica. Le cose stanno in modo completamente diverso nelle narrazioni bibliche. L’incanto dei sensi non è nelle loro intenzioni, , e se ciò nonostante agiscono vivacissimamente anche sui sensi, avviene perché i fatti etici, religiosi, intimi, ai quali unicamente mirano, si concretizzano negli elementi sensibili della vita. Il fine religioso determina però una pretesa assoluta di verità storica.
24 Giu 2011 Nicola
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