Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.

Ho idea che Camus vada letto, seguito e interpretato, lungo il suo percorso narrativo, ponendo attenzione ai brani in cui mette in scena la morte di una madre.

L’incipit sconturbante de Lo straniero è incredibilmente emblematico (quando si dice: nelle prime righe c’è già tutto) del tono e dei significati dell’intero libro. Verissimo. Eppure esaurisce tutta la sua rappresentatività in questo testo. Vale a dire che esso non rispecchia approdi ed esiti delle prove (gigantesche) successive del medesimo autore. Pare, cioè, che Albert Camus pur continuando a servirsi di arnesi quali assurdità della vita e insensatezza della morte vi imbastisca sopra altro genere di costruzioni; egli si mette alle spalle ogni accostamento al genere dell’assurdo, riuscendo nell’impresa di mantenere in curriculum un’opera che dell’assurdo resta, ad ogni buon conto, un capolavoro. Tanto Lo straniero appare come un disumano esercizio di distanza e di estraneità rispetto al calore della vita, quanto La Peste e La caduta sembrano provare nostalgia dell’umano, nutrite come sono di consapevolezza per quel poco di cui l’uomo è chiamato a rispondere sulla terra e, nondimeno, di frustrazione per i fallimenti che al comportamento dell’uomo sono imputabili.

E così, personaggi drasticamente amorali come l’impiegatuccio Meursault, straniero a se stesso, accanitosi a rivoltellate, senz’alcuna ragione, sul corpo di un arabo, non potranno più godere nei successivi libri di un primo piano così spinto come ne Lo straniero. I motivi dell’esilio e della separazione resteranno al centro dell’opera di Camus ma declinati prevalentemente in una scrittura più morale. Laddove, nello scrittore premio Nobel, “più morale” non vuol dire rigida divisione tra il Bene e il Male, tra innocenti e colpevoli, vittime e carnefici, e via elencando – distinzioni che non si possono operare se non andando giù di un’accetta che certo non appartiene a Camus – bensì tensione costante verso l’individuazione di “un criterio minimo” che deve pur esistere per distinguere l’ingiustizia dal suo contrario. Significativo, al riguardo, l’atteggiamento del dottor Rieux de La peste, il quale precisa che non la salvezza degli uomini gli sta a cuore ma, più modestamente, la loro salute. Ecco, un’opzione morale per Camus può essere, per esempio, quella di provare a fare bene il proprio mestiere.

Ma si diceva dei libri di Camus letti attraverso il racconto della morte di una madre. Vediamo, confrontandoli con l’esordio fulminante de Lo straniero, come cambiano, ne La peste, il passo, la parola, il soffio, il palpito dell’autore dentro alle parole di un personaggio non secondario, anzi bellissimo e indimenticabile, qual è Tarrou:

Mia madre […] in lei amavo la stessa discrezione, e lei sempre ho voluto raggiungere. Otto anni or sono, non posso dire che sia morta; si è soltanto affievolita un po’ più del solito, e quando mi sono voltato non c’era più.

Anche l’anziana madre di Rieux è oggetto di un ininterrotto sguardo di tenerezza da parte del medico e dell’autore, mentre nella città nordafricana di Orano imperversa il flagello che mette a dura prova l’umanità dei sentimenti di tutti gli abitanti.

(continua)