Quaranta metri quadri, tettoia e pergolato. Ninì vive praticamente a cielo aperto, arredo scarso: una sdraio di là, sul lato scoperto, dove dormirci come un bradipo su un ramo di cecropia. La strada di edifici fatiscenti e lerci è soffocata dagli odori del carburante del caldo umido giugno delle scarcioffecoibisi della terra non scrollata dai vestiti dei senegalesi, e dai consueti gorgoglii della vita rionale.

Quando è finalmente rincasato è notte fonda, va nel frigo, ne tira via una tazza. Nelle peperonata gelida ci sbriciola sei puramente sette pastiglie di zoloft. Nel foglietto illustrativo alla voce interazioni nulla è detto a proposito del mischio tra setralina e ortofrutta, per cui via col pane intinto in questa zuppetta paranoica. La mano agguanta il vicino telecomando tutto incerottato, il pollice apre sul tre. Enrico Ghezzi sta presentando il prossimo film e nel farlo parla della violenza. Della violenza. Della fine. Della storia. Questa è la sua cadenza per parlare della violenza della fine della storia. Ninì pensa che la violenza della fine della storia è il capolinea di Marcianelle. Violenza della fine della storia è quella terra bruciata che incuba mine, subito alle spalle del capolinea di Marcianelle. Violenza della fine della storia è la mano di un bambino che colpisce duramente il corpo di un altro che tenta di scappargli via. È strifone.