Il popolo può esistere solo quando ricorda i propri eroi. I suoi morti, coloro che hanno fatto sacrificio della vita. Senza il culto dei morti non può esistere un popolo vero.

Bisogna ammettere che la destra polacca avverte in maniera istintiva le componenti fondamentali della nostra identità. Non a caso il nostro poema nazionale dell’epoca romantica è “Gli avi di Mickiewicz”. Il termine avi indica un rito precristiano, nel corso del quale i viventi evocano i trapassati. Non a caso una delle principali ricorrenze polacche è tuttora il giorno dei morti. Il primo di Novembre il Paese intero si mette in cammino per far visita alle tombe dei propri cari. I cimiteri di notte sono illuminati da migliaia di candele e la loro tetra bellezza ha in sé qualcosa di profondamente pagano.

Si vede che la contemporaneità non è in grado di esaudire tutti i nostri bisogni. Così come non lo è il futuro, che ci appare come un presente incessantemente rinnovato, senza nessuna promessa, nessuna speranza. E in Polonia ci fa così piacere far ritorno al passato, andare alla ricerca di segni e profezie nella storia. In realtà per noi il passato ha sempre costituito una sorta di religione. Il cristianesimo con la sua speranza e il suo progetto di completa trasformazione del reale ci ha appena sfiorati. I nostri morti, invece, ci sono sempre accanto. Non ci hanno mai traditi. E lo stesso avviene ora, nel mondo postmoderno. In apparenza le cose qui vanno come altrove,  ma basta una catastrofe aerea per farci tornare alle credenze più remote. Perché qui, sulla Vistola, il passato non muore mai. Aspetta paziente di tornare.

Andrzej Stasiuk

(clicca qui per leggere tutto l’articolo)