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le torsioni dell'anaconda

di certe rigidità post-torsioni

le torsioni dell'anaconda

una negletta ma ovvia spiegazione economico-culturale

prezioso insegnamento sulla tirannia della finanza internazionale

i risultati del governo Monti non esistono perché non cessa, la mia lobby, di agitare la minaccia di un’imminente discesa in campo dell’Anaconda Torta e Bistorta, l’Arcidiavola, ossia l’eventuale pubblicazione de Le torsioni …

bene, s’è capito che su questa linea non si ottiene altro che di indisporre i mercati.

ogni volta che un editore mi si fa possibilista lo spread schizza oltre la soglia psicologica dei mila e mila cento.

allora. poiché passi indietro non ne faccio. deportatemi.

le torsioni dell'anaconda

contributo per la costruzione di una cultura dietrofanica

Il popolo può esistere solo quando ricorda i propri eroi. I suoi morti, coloro che hanno fatto sacrificio della vita. Senza il culto dei morti non può esistere un popolo vero.

Bisogna ammettere che la destra polacca avverte in maniera istintiva le componenti fondamentali della nostra identità. Non a caso il nostro poema nazionale dell’epoca romantica è “Gli avi di Mickiewicz”. Il termine avi indica un rito precristiano, nel corso del quale i viventi evocano i trapassati. Non a caso una delle principali ricorrenze polacche è tuttora il giorno dei morti. Il primo di Novembre il Paese intero si mette in cammino per far visita alle tombe dei propri cari. I cimiteri di notte sono illuminati da migliaia di candele e la loro tetra bellezza ha in sé qualcosa di profondamente pagano.

Si vede che la contemporaneità non è in grado di esaudire tutti i nostri bisogni. Così come non lo è il futuro, che ci appare come un presente incessantemente rinnovato, senza nessuna promessa, nessuna speranza. E in Polonia ci fa così piacere far ritorno al passato, andare alla ricerca di segni e profezie nella storia. In realtà per noi il passato ha sempre costituito una sorta di religione. Il cristianesimo con la sua speranza e il suo progetto di completa trasformazione del reale ci ha appena sfiorati. I nostri morti, invece, ci sono sempre accanto. Non ci hanno mai traditi. E lo stesso avviene ora, nel mondo postmoderno. In apparenza le cose qui vanno come altrove,  ma basta una catastrofe aerea per farci tornare alle credenze più remote. Perché qui, sulla Vistola, il passato non muore mai. Aspetta paziente di tornare.

Andrzej Stasiuk

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la cognizione dell’antidolorifico

di punti corradi son pieni i pirobutirro’s

le torsioni dell'anaconda

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restare fermi passin passetto

Il bisogno di seppellire i morti e la necessità ineludibile di dar corso a ai connessi rituali di lavaggio, ricomposizione e vestizione della salma, nonché la scrupolosa tradizione di manutenzione del sepolcro, sono in relazione di totale identificazione con la medesima ineludibile necessità che si prova di coprire il buco osceno, fetido, corruttore e mistificatore della morte. La morte deve essere ricoperta di fulgidi panneggi, preziosi tessuti, risplendenti abiti (i migliori che siano appartenuti al defunto). Perché questa è la Pietà. Mai ebbi e constatare che pietà l’è morta. Sbalorditiva impostura. Mai nella mia vita, mai nella comunità in cui vivo. Tutto ci parla della meravigliosa vicenda dell’uomo su questa terra, del compimento di umanità cui è chiamato (Hereafter, Departures, Michele Misseri, Un tram che si chiama desiderio, vitemarie e punticorradi in anaconda, Suttree pagg.. 178-182, gli zombies di Romero, i fortunato loperfido e sigismondo criscuolo), del nostro obiettivo di civiltà ormai già ben più che traguardato nella notte dei tempi (Antigone e i giudaico-cristiani imperativi ormai mitici). Cosa che equivale a dire che, meravigliose rappresentazioni di Clint Eastwood Yojiro Takita e Nicola Sacco a parte, è dalla notte dei tempi che non c’è progresso di civiltà, non è dato esserci. Non è dato Esserci.

altri spot, le torsioni dell'anaconda, letteraria

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le torsioni dell'anaconda

1999 - Innocenza e beatitudine

Se ghignava di soddisfazione, per qualche istante non si sarebbe detto che sorrideva ma che piuttosto ninnasse un suo ronciglio nell’arcata dentaria superiore, e che da questo ferro, sempre in quel brevissimo fotogramma in cui accennava un timido sorriso, saettasse una magnifica lama di luce.

Ogni giorno Innocenza, munita di un mazzetto di semprevivi, riseppelliva suo marito. Nel cimitero, sostenendosi su anche pesanti, conosceva ogni giorno il rinnovamento dell’onta di avere suo marito sotto terra e non nell’agognato alloggiamento; sperimentava il quotidiano orrore del congiunto assegnato alla serie B dell’estrema dimora, intesa come zona di second’ordine, coriacea ricoveramorti, propaggine degradata del più vasto e legittimo camposanto. Countinua a leggere »

le torsioni dell'anaconda, letteraria

I tabù delle tribù

Dunque, anche gli scrittori, come tutti, devono saper stare sul mercato. Questa è una tetra, imbecille cialtronata. Starci per starci, sul mercato, tanto valeva mettersi a produrre panni swift, suolette di gomma, graziose ballerine, spazzoloni, tavolette da cesso, bastoni per le tende, fibre lassative, cerchi in lega, cazzi di gomma, sbattitori elettrici, sacchetti sottovuoto. Basterebbe, per rimanere nel campo dei grafomani e degli amanuensi, clonare un libro (?) di Faloccia o di qualche altro genio della cordata giusta (più che della parola scritta) e si otterrebbe l’ennesimo prodotto seriale, più inutile di una qualunque delle merci sopra elencate ma però con lo scaffale in libreria già bello che prenotato. Niente di più comodo che scrivere ciò che tutti sanno già, niente di più pratico che buttarsi nelle braccia del gusto omologato di massa, niente di più delittuoso che attentare in questo modo alle percentuali di verde “già vergognosamente basse”, niente di più cortigiano che asservirsi al mercatismo, inteso sia come blocco di interessi concreti e molto circoscritti – nel caso italiano si sa bene come questo sia il mercato degli straccioni, il capitalismo provinciale e familiare di familismo amorale –, sia come dottrina (molto ideologica) elaborata da studiosi più interessati alle sorti dell’umano simposio che al proprio tornaconto (ma quando mai?!).

Non si ricorderà mai abbastanza che la prima preoccupazione non è “venderò quello che scrivo?”, bensì “che cazzo sto dicendo? Mi appartiene o sto cedendo a qualche lusinga?”. Fatto e detto questo, chi mai schiferebbe, comunque, un eventuale successo di vendite?

Se non si scrive per dare forma inedita all’inarticolato grido di dolore con il quale ogni giorno, ogni ora e ogni minuto si rinasce alla vita – e per far questo la lingua va reinventata ogni volta –, non resta che scopiazzare gli autori sbagliati nel nome della facile parlabilità. Quando si rimprovera allo scrittore di non farsi capire abbastanza potrebbe darsi pure che lo scrittore sia un cane e faccia cattivo uso dello strumento e delle insegne di cui si fregia, ma potrebbe darsi altrettanto che gli ostacoli alla comprensione siano tutti nel ricettore che fa fatica a sbarazzarsi dei suoi stereotipi di lingua e di pensiero.

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