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A difesa (disinteressata) di chi si astiene

Eppure, eppure, eppure … Una cosa che mi preme segnalare è che l’astensione, soprattutto in caso di referendum abrogativo, è una opzione del tutto valida, conforme, sensata. E allo stesso modo lo è una campagna che abbia come obiettivo il non raggiungimento del quorum. Lo sanno bene in dottrina e possono confermare molti costituzionalisti (quasi tutti) che qui non si tratta di sottrarsi a un dovere civico bensì di rigettare un dispositivo di consultazione elettorale (più precisamente, di democrazia diretta) che costringe ad una scelta binaria (tra due soluzioni alternative), secca e senza sfumature, su un oggetto – il testo di legge - facilmente manipolabile prima della sua sottoposizione al corpo elettorale – tramite taglia e cuci del medesimo testo, per esempio -, e facilmente manipolabile dopo – dai soggetti partitici, per esempio, che s’impancherebbero ad autentici interpreti della volontà popolare, qualunque sia l’esito referendario.

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Parole in libertà condizionata

“Vergogna, giustizia, amore, libertà, ribellione, bellezza, scelta. Anche solo chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario.” Così Gianrico Carofiglio, magistrato, scrittore e deputato PD, ha scelto di promuovere il suo saggio La manomissione delle parole.

Ora, qui si accetterebbe pure la totale autonomia del significato dal significante (soprattutto in arte) ma tre parti in commedia – ribadisco: magistrato, scrittore e deputato PD – sembrano troppe e lo sconfinamento nel gioco delle tre carte è un pericolo concreto. Chi parla? La toga, il romanziere o l’uomo politico? Passi che a parlare siano i primi due ma nel momento in cui ci si infila in una casacca politica, e si scrive un testo dalle ambizioni socio-politiche, il terreno si fa scivoloso e l’intestazione di certe battaglie contro la degenerazione del linguaggio nel discorso pubblico, contro l’impoverimento espressivo indotto dalla lingua del potere e dai suoi slogan, ebbene, questo nobile impegno per difendere le parole dal saccheggio, dall’insolenza e dalla prepotenza dei leader politici, acquista il sapore sgradevole della doppia morale. Oh, quanto candore occorrerebbe a Carofiglio perché non veda la radicale dissociazione tra le sue sacrosante digressioni e le indecenti pratiche partitiche adottate dalla sua stessa formazione politica, ad ogni livello territoriale. Qualunque sia il campo d’osservazione (dal locale al nazionale) si nota un unico, implacabile fenomeno: la rincorsa, affannosa fino all’inevitabile caricatura, a qualcosa che è già una tragica e devastante caricatura in sé. Il berlusconismo. Additato appunto come il principale brutalizzatore della lingua. Che turpitudine possa mai essere questa caricatura di una caricatura, questo sconcio scimmiottamento di una scimmia, pare invece un fatto da passare sotto silenzio.

Uno slogan per tutti, qui al mio paese: IL CORAGGIO DELLE SCELTE.

Chi sarebbe l’intrepido possessore di questo onorevolissimo attributo? Il candidato sindaco del PD, naturalmente. E non si trascuri la forza del partito che quel candidato oggi esprime e che di quel coraggio (delle scelte) vuol essere contitolare. Bene, chi vive a Modugno non potrà non notare come sia curioso e stonato che figure già in partenza tutt’altro che ardimentose si attribuiscano unilateralmente una virtù che mai nessuno si sarebbe sognato di riconoscere loro (con tutta la recente storia amministrativa che basta a sconfessarle prima d’ogni altra cosa proprio sotto l’aspetto del coraggio). Si aggiunga che all’indomani del primo turno della consultazione elettorale è seguita una commovente vicenda di riavvicinamento familiare, in vista del ballottaggio, tra PD e UDC, i quali sono così addivenuti ad un accordo politico-programmatico che molto probabilmente consentirà loro di vincere al secondo turno. Il tutto, però, dimenticandosi di formalizzare l’apparentamento. Che sarebbe come dire che proprio davanti all’unico atto che potevano porre in essere, questi prodi, questi valorosi, questi coraggiosi, questi duri a morire, precisamente nell’ora della scelta si sono tirati indietro. L’intesa è sostanziale ma non è ufficiale; più crudamente, l’accordo è stato raggiunto alla zitta, o sotto banco che dir si voglia. Lo svuotamento delle parole è felicemente riuscito. La truffa semantica pure. L’appropriazione indebita di attributi compiuta. Lo slogan usato in senso perfettamente berlusconiano.

Va da sé che non di sola tartufaggine si tratta. L’operazione è stata infatti deliberatamente concepita per appropriarsi di una seggiola in più, un posto di minoranza (e quindi di garanzia, cioè di democrazia) spettante ad uno dei candidati sindaci non vincenti. Come chiamare tutto questo? Se ci fosse Berlusconi o anche solo sua sorella non si avrebbero dubbi: concezione padronale delle istituzioni, cancellazione dei presidi democratici, aggressione ai danni delle voci critiche.

p.s. 1 Indagini della magistratura barese su mezzo centrosinistra che andrà a comporre il consiglio comunale. Le notizie trapelano timidamente (fin troppo timidamente) dalla stampa locale ma a detta del PD i giornalisti vogliono sostituirsi ai politici e poi gli elettori si sono espressi chiaramente. Ma non s’era detto che il consenso elettorale in alcun modo poteva costituire un lavacro per chi aveva commesso reati?

p.s.2 Il probabile sindaco di questa ridente cittadina si avvantaggia della prescrizione per un’altra vicenda giudiziaria. Per molti (quasi tutti) quindi è innocente. Chi chiede scusa a Minzolini? Io no, sicuramente, ma qualche elettore del centrosinistra gliele deve, non ho dubbi.

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Visti da Modugno

Non credo un cazzo che i partiti siano finiti, morti, come sostiene Grillo nella sua rozzezza analitica e come vogliono farci credere altri tetri soloni oppure l’ormai troppo astuto uomo della strada. Semplicemente si sono trasformati, e forse neanche tanto; magari oggi hanno una mise diversa ma sono vivi, robusti, panciuti, prosperosi come un tempo. Certo, fino a un ventennio fa apparivano più caratterizzati ideologicamente e più centralisti nell’organizzazione mentre oggi vestono à la page, sembrano più fluidi e fluidificati (io direi unti e bisunti), ben sciolti nell’acqua sociale, tanto da farti credere di essere meno invadenti, più gentili, più adatti alla modernità, più adeguati e low profile. Poi arrivano gli appuntamenti elettorali, e con essi la loro forza dirompente, le loro strutture (sempre uguali, altroché), il reclutamento, la campagna elettorale (chissà come, bella rilassata sotto l’aspetto della copertura finanziaria), il loro trionfo. E il trucco, grazie al quale tutti avevano creduto alla puttanata della morte dei partiti, è presto svelato: sono cambiati solo nella fase del reclutamento. Qui è l’imbroglio.

Succede così, che tutti (o quasi) coloro che sono/saranno eletti restano per lungo tempo fuori della vita partitica trastullandosi nel compiacimento di additarla come luogo malfamato, giusto perché non va di moda essere uomini di partito e quindi per acquisire quel volto, ancora una volta, moderno e presentabile (è lo stesso partito alla moda che ti concede, per la bisogna, questa lunga vacatio, questo spensierato cazzeggio); per poi tutti confluire nei partiti al momento del voto. Nella sostanza nulla è cambiato, il partito è nuovamente, prepotentemente in primo piano, come unica articolazione possibile per la capacità di organizzare nella competizione quei soggetti non di rado dilettanti, non di rado analfabeti, non di rado spropositatamente ricchi, non di rado corrotti, non di rado criminali. E traghettarli nei luoghi del potere. E da lì poi ricominciare con le marionette, col partito vedo e non vedo.

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Precisazioni individualistiche

Rendersi inappropriabili ideologicamente comporta l’allegria di un portamento che non consente alle ideologie del momento - il Mercato (dei pezzenti), la Religione (predatrice), la Socialdemocrazia (svendentesi Fuori Tutto), il Socialismo reale (e quello irreale o surreale o fantasioso), il Nazifascismo (distruttivo sempre) - di stendere il proprio manto sacrale sulla singola intelligenza allo scopo di controllarla e magari annichilirla. Se prendiamo ciascuna di queste ideologie e proviamo a chiamarla col proprio nome troveremo che sono tutte omonime nell’Imperialismo e nel Totalitarismo, tutte specializzate in quella mefistofelica (dunque raffinata, per amor del vero) arte di costringere gli uomini in masse indistinte intanto che fan loro credere che si stanno curando l’anima e si stanno realizzando come individui.

Ritrovare un’intelligenza di base, per molta o poca che sia, è invece un traguardo niente affatto scontato visto che comporta il tirar giù l’Intelligenza Superiore dagli altari cui è stata elevata, per poi darle una pedata nel sedere e scoprire, nel mentre che si scompone, che è sempre qualcosa di più e di più pericoloso, oltre la sua superiorità. È l’intelligenza col Nemico. Di noi stessi.

Si consiglia di buttare al cesso ogni identità conquistata, a maggior ragione se ha l’approvazione del mondo intero ed è anche redditizia. Si consiglia di sbattere in fondo a un merdaio le certezze raggiunte. Si consiglia di usare la propria intelligenza per farsi mettere in crisi.

Oddio, si consiglia … non è che proprio si consiglia di fare questo. È che questo è inevitabile e anche naturale per chi vive davvero nella rettitudine. Cioè per chi vive davvero.

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Chi mi manderebbe gratis in frantumi un malleolo?

È incredibile, ’sto cazzo di materialismo storico impedirebbe finanche l’unica lettura possibile della Shoah: la non lettura, l’impossibilità di un’interpretazione; accettare l’inservibilità di ogni strumento epistemologico reso all’istante vecchio, inutile arnese, di fronte ad ogni nuova strage in un campo di sterminio o alla metropolitana per mano di un fanatico sconvolto farcito di tric-e-trac, o di fronte al suicidio di massa in qualche fattoria deltempiodelsolediarchéondelreverendomoon.

No, cazzo! tutto si spiega invece, e tutto si tiene con l’interesse economico, la cupidigia, la brama di potere, l’accumulazione di ricchezza. E giù con le dotte analisi sempre più a vasto raggio, sempre più internazionali. Perché il locale è solo un riflesso di dinamiche molto più grandi di noi. Così grandi che la mente del giovane marxista, nel tentativo di comprenderle e farle sue (per farci cosa, poi?), scoppia. Risultato: uno sgarzolino via di testa in più a carico del sistema sanitario, del sim, del sert o non so che … Però purtroppo certi santoni resistono, seguitano a officiare liturgie oppressive con indosso i paramenti della moda corrente per non seminare terrore, e provano a riproporre in contesti autorevoli la solfa concettosa della struttura economica, della sua sovrastruttura, della borghesia mondiale et similia a tutte, ma proprio tutte, le categorie dell’esistenza.

Spesso cambia l’insegna dell’azienda o il titolo o l’editore del testo sacro ma sempre di genuflettersi e cospargersi il capo di ceneri al cospetto della Verità si tratta.

Enno, cazzo! dico io, verità un corno! Perché nulla sapete dell’abominio che chiamiamo Uomo, tutto ignorate della fogna del suo mondo interiore, delle sue proiezioni malate, tutto, tutto! Con ciò non intendo fare particolari esercizi di pessimismo sulla sorte dell’uomo che sbanda per calli e per merdai sul globo terracqueo, voglio solo dire che si può deliberare nel Male per qualche imperscrutabile ragione e che, sotto quest’aspetto, nessun reale passo avanti (l’eterno gioco dell’oca della vita) è stato fatto grazie a o nonostante le conoscenze acquisite.

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ventate di freschezza

Tutti belli nuovi e profumati da ciucciarsi, seh … come uno stracchino nel tuo piattino … ‘no stracchino già ciucciato, nel tuo piattino di merda.

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la semantica del Sacco

Il Sacco della città potrebbe anche esultare oggi per un successo cattoclericale che non lo riguarda se non per la parte in cui suggella un destino (che purtroppo invece lo riguarderà da vicino) già scritto nel suo cognome. Difficile sottrarsi a questo trastullo oggi. E altrettanto difficile, oggi, non constatare la tirannia di Eros e Tanathos, oggi, una giornata da preti scafati in cifre e scienze delle costruzioni. Cioè chierici specializzati in redditizi de profundis, impegolati all’inverosimile tanto nel laterizio mortuario quanto nell’omelia paracula prestampata dal parrocchione per aiutarti a mandar giù la polpetta avvelenata. Quanto all’eros, beh … quello è tutto mio ed è difficile dare un’idea del piacere che traggo mentre mi tocco il mio cognome guardando una città sempre più fetida e brutta.

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la bella politica

Si dovrebbe ormai fare la politica che non si sa, tentando su due piedi un bandolo, ritrovando un io che stabilisca un capo e una coda, un individualismo, avete capito bene!, ovviamente di segno opposto a quello in voga di ’sti tempi (il quale è, a ben vedere, millantato individualismo, peggio!, strumento della spoliazione dell’io). Bisognerebbe ripartire proprio dal dire io creo e quindi io esisto (banalizzando: prendere coscienza di non essere dei vermicioni col sondino nasogastrico somministrato a capriccio dal maschio di stato o dalla picciocca ministeriale), in aperto conflitto con i bercianti filastrocche funebri, possessori di tutto che null’altro hanno da chiedere se non mantenere quel tutto per specchiarvisi, scaricando questa pulsione di morte, in cui consiste il loro mancato volgersi al futuro, sul resto della congerie umana per continuare a meglio depauperarla di beni materiali e immateriali. Questo ci vorrebbe, un nuovo e bellissimo individualismo che conosca prima di tutto la bellezza dell’autosmascheramento fino all’utodenuncia, fatta su pubblica piazza, della propria meschinità, cioè dell’abominio che chiamiamo Uomo. Bonificarsi dalla schizofrenia tra ideologia/catechesi professata e vita vera del sangue. Provare a officiare questa specie di messa purgatoriale, facendo allo stesso tempo il ministro di io e la sua pecorella, e alla luce del sole, non all’ombra di “materni confessionali”.

Dopo, solo dopo, cominciare a masticare l’ostia: non andare a carretta dei messaggi di salvezza, non farsi vicari del mito della purezza, non ancillari ad alcun vecchio potere, non portavoce di alcuno nuovo in via di solidificazione già oggi.

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Duecento misti

Nella strada c’era gente che si chiedeva che diamine fosse quella puzza tutta nuova. Molti si lamentavano che era penetrata nelle loro case e che era davvero insopportabile. Bambini che vomitavano. Brizzolati cinquantenni già preoccupati del proprio cuore che scongiuravano eventuali crisi cardiache magari proprio a causa di questo fetore che faceva star male dal tanto che acciuffava allo stomaco. Una donna che quasi abortiva dal tanto che somatizzava. Un grassone che componeva il numero della locale compagnia dei carabinieri. E quando i carabinieri furono sul posto tutti a indicar loro da dove proveniva questo fiato sulfureo. Il bravo giornalista che giurava di aver visto i muri esterni della casa in questione trasudare liquidi fecali, no, seminali, no scusate fecali, fecali. I due carabinieri correvano nel viale, erano sul pianerottolo con le mani a mascherina sul volto e gli occhi irritati se non proprio lacrimanti. Suonavano. Niente. Suonavano e colpivano la porta. Ancora niente. Forzavano la porta e si ritrovavano coi piedi in un pantano scivoloso. Merda. Merda e silenzio. Merda e nessuno. Si lanciavano un’occhiata d’intesa: era successo altre volte di sorprendere intere famiglie in uno stato di degrado simile. Altre volte uomini e froci disperati e condannati da questo paese da incubo si erano ridotti a non uscire più di casa, abbandonandosi vieppiù e finendo con lo smerdare la casa in ogni angolo. Uno dei due carabinieri apriva una porta e scopriva una donna con uno sbuffo di capelli lunghi e grigi soltanto dietro un orecchio, come chi si fosse dimenticato di sciacquarsi via la pro-raso da quella parte, su un materasso completamente abbrunato di dissenteria. Continuando la perlustrazione entravano in un’altra camera. C’era un ragazzo gattoni che sembrava crogiolarsi nella pleplè, a guardar meglio muoveva a rana le braccia per dipartire i liquami densi e lasciare libera una porzione del pavimento sulla quale andava sistemando traversine e regolando lo scartamento tra i binari. Un carabiniere gli premeva due dita sul braccio, a scrollarlo delicatamente.

Corrado aprì gli occhi.

La radio aperta su Uomini e camion e tutto come sempre. Sempre peggio. Solo un potente puzzo di schifo composito che arrivava dalla finestra. Lo stesso che ammorbava la città.

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squadri da ogni lato

lo scopro guardando l’infedele

e a me roberto saviano che arringa la folla del palasharp con queste parole “è arrivato il momento di dire ciò che siamo e ciò che vogliamo” mi manda ai matti, c’è niente da fare.

prendere MONTALE e utilizzarlo a proprio comodo, ribaltando il senso di quei versi inequivocabili e già inflazionati, prima che risultare una faciloneria più afflittiva di uno sloganino veltroniano, mi pare proprio strizzatina d’occhio al pubblico delle più viete. contiene, lo slogan, una somma slealtà verso quelle parole scritte dal Poeta apposta per significare l’opposto di quanto che lo scrittor incerto sfacciatamente recita dal suo trabiccolo amplificato. le cancella impunemente, quelle parole e nel compiere questa precisa operazione brutalizza l’enormità filosofico-letteraria che in Non chiederci la parola meravigliosamente precipita.

e non è da credersi che dopo gli sfondoni su Sciascia e i professionisti dell’antimafia sia nuovamente inciampato.

anzi, se tanto mi dà tanto, saviano si propone come Vate.

se se ne va su questa china, così come lo sloganista slogato veltroni è solo un morto (politicamente) che non ha pace perché non ha ancora ottenuto degna sepoltura, lui come scrittore ci finisce allo stesso modo. e non solo come scrittore ma anche come giornalista.

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