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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /7

L'Histoire Érotique
Nella notte lei gli appare.
Angelo, ti percepisco da lontano come ciò che mi manca. Come una primitiva forza della natura. Non scomparire. Quando torni? Non tollero essere abbandonata.
“Ti amerò domani. Tu però ancora non mi apostrofi. Aspettavo con ansia il tuo nomignolo, questo battesimo.”

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /6

Perché un ricordo si formi, la conoscenza [che occorre] è pertinente ai contrasti delle disposizioni d’animo, delle situazioni, delle circostanze. Una situazione erotica, nella quale il punto essenziale è stato l’isolamento tranquillo della vita in campagna, si lascia a volte nel modo migliore ricordare e interiorizzare nel ricordo (erindre og inderindre) in un teatro, dove l’ambiente e il rumore producono il contrasto. Non è però sempre l’aperto contrasto, quello felice. Se non fosse non bello usare come mezzo un essere umano, sarebbe forse alla volta una contraddizione felice, al fine di ricordare una situazione erotica, quella consistente nel procurarsi una nuova storia d’amore, puramente e semplicemente per ricordare l’altra. I contrasti possono essere in modo estremo oggetto di riflessione. Il culmine estremo del rapporto di riflessione fra la memoria e il ricordo è nell’usare la memoria come ricordo.

[s. k.]

L'Histoire Érotique
“Dimmi come ti senti oggi.”
“Come un buzzurro.”
“In quanto femmina ancorché decaduta ho un debole innato per buzzurri, brutali, guardiacaccia e famigli. Purché giovani e sani.”
“Anche per quelli afflitti da un’ansia di emancipazione da cotanto stato?”
“Assolutamente sì”
“Ma che te ne fai della giovinezza brutalista se hai bisogno soltanto di veglie.”
“Macché veglie! Provo per te una sensuale, sinistra inclinazione. Mi sa tanto che dipende dalle tue cosce di ciclista mentre la preghiera ti sboccia nel cuore.”
“Mi mandi in solluchero.”
“Adesso tutti questi pellegrini dovranno pregare perché la situazione non ci sfugga di mano. Rischiosissima. Percepisco una strana ebbrezza. Adesso vai ma non sparire per giorni!”

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /5

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique
Quanta forza ha di scattare ancora qui, su questo colle proibitivo.
“Siamo precipitati, Angelo. Adesso devo cambiarti il nome, affibbiartene uno nuovo di zecca che partecipi del nostro mutuo scambio di atti caritatevoli. Mentre io col mio corteo di fantasmi muovo ad una attesa cui non potrai mancare. Dio, come sei giovane! Ricorda, puoi solo vegliarmi.”

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /4

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique

Di notte sogna di vederla sotto le infinite arcate della chiesa, tra i banchi, di fianco al marito e al figlioletto. È innamorato. Lei si volta, lo guarda liquida, capisce e dice: “Sì ma adesso devi venire a prendermi dall’aldilà. Sono una statua cadavere, non puoi avermi, puoi solo vegliarmi”. Poi Angelo si sveglia e non conta più i muri che riuscirebbe a scalare in bici per la rabbia di aver perso quel sogno.

(continua)

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /3

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique

Negli occhi fotogrammi di pellegrini accaldati che ghermiscono altri fotogrammi attraverso i loro cellulari lampeggianti sul bronzo della statua.

“Dimmi se ti innamori.”

“Da molto non mi capita” dice Angelo.

“Io mi innamoro di gente che mai mi corrisponde ovvero si spaventa di me e fugge. La gente si spaventa se le faccio conoscere tutta la mia biografia, allora ho inventato una versione edulcorata.”

L’acido lattico ha rotto gli argini: le immaginette, le statue a grandezza naturale, i grani di rosario, i libri sulla madonna, sono veleni nel sangue che i muscoli potrebbero rifiutarsi di smaltire. I polmoni bruciano come vi fosse stata scolata dentro una manciata di sabbia.

“Una storia come la mia è come un giacimento di uranio a cielo aperto. Rischio di far scappare le persone di fronte a tanta memoria di orrori patiti. Oppure di impietosirli. E io non voglio essere compatita.”

Sofferenti di varia natura si accalcano attorno a una bancarella. Un garbuglio di cerotti, garza e ovatta imbrattati di sangue e un fazzoletto, ben spiegato dietro il vetro di una campana, con una macchia nerastra al centro che si stempera in un più ampio alone affumicato su tutta la superficie restante del cotone. Non ricordi bene: era forse l’espettorato della sguattera tisica che per prima ebbe qui l’apparizione?

“Invidio molto la tua padronanza sulle due ruote. I tuoi polpacci e le tue cosce. Ma raccontami di te. Così. A pezzettini. Io oggi tempestata di preghiere e di giornalisti che devono scrivere su di me. C’è un mio amico giornalista con il quale per gioco ci diciamo delle stronzate tipo ti amo, oh sì, quanto ti amo. Mi assillano perché gli racconti degli episodi inediti per i loro mensili.”

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funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /2

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique
Di nuovo su quei tornanti. L’arrampicata questa volta è un incubo di fatica, tendini e tessuti tirati allo spasimo sul punto di strapparsi. Troppo ravvicinata. Ma la smania di tornare sul luogo in cui lo spirito santo gli si era manifestato era incontenibile.

“Non voglio sapere qualcosa di te. Voglio che tu mi parli di te, Angelo. Mi s’è fatta voglia di sentire la tua voce.”
“Non saprei da dove cominciare. Fammi una domanda precisa.”
“Hai mai fatto il chierichetto?”
“Il chierichetto mai. Solo una volta, al quartiere popolare dove abitavano i miei nonni fui trascinato ad una messa dove si ritrovarono improvvisamente con penuria di chierichetti e mi fu proposto di assistere il prete nella funzione religiosa. Mi buttarono addosso una tunica troppo lunga nella quale non feci che inciampare tutto il tempo. E non sapevo poi cosa fare, sbagliavo tutti i movimenti nonostante mi fosse stato detto di non starmene troppo a preoccupare. Ma credo sia stato uno dei momenti più penosi della mia esistenza.”
“Il giorno più bello della tua vita.”
“Non mi sovviene. Sarà povertà di spirito?”
“Il tuo ricordo più antico.”
“Potrei confondermi, potrei credere di averne individuato uno e magari dopo scopro che ce n’è un altro prima.”
“Va bene, adesso vai che c’è tutta questa umanità che mi prega. Ma sappi che so cosa mi vorresti chiedere, per cosa vorresti che io intercedessi. Questo ti lega a me e da ora sei mio devoto. Devi manifestarti tu qui da me.”

funghi patogeni, riflessioni su due ruote

troppa grazia /1

L’eros è conflittualità farneticante dell’io. il porno è, al contrario, oggettità irreciproca dei corpi non squalificata da nessun soggetto; oggettità che eccede il desiderio, o-scenità irrappresentabile. Carne senza concetto. [c.b.]
L'Histoire Érotique

All’inizio saliva per restare solo. Spingeva più forte degli altri sempre per restare solo. Poi comprese che era la conquista della vetta ad interessarlo. Intuiva con ciò di avvicinarsi in qualche modo all’esser caro agli dèi. Ascendere in bici, restare a spellarsi l’anima sulla roccia spellata poteva ben essere una penitenza a cui far seguire una richiesta d’aiuto rivolta direttamente alla madonna sommitale. Già discreta meta di pellegrinaggio.


In capo a una manciata di scalate della stessa rupe aveva capito che lo scollinamento era tutto. Fermarsi a guardare la statua, lasciarsi attraversare dalla spiritualità del luogo per sondarvi una qualche benevolenza, una disponibilità.
Altroché.
“Puoi fermarti, sai?” gli pareva di aver sentito. Non si sbagliava. “Anche darmi qualche lume su di te. Perché mi cerchi?”
Terrorizzato si buttò giù per la discesa. A rompicollo. E la notte che seguì fu angosciosa. Verso l’alba cominciò a esaminare le cose un po’ più razionalmente: ci sono madonne che piangono e piangono addirittura sangue, ci sono madonne che esalano nell’aria in nebulose che compongono figure vagamente mantellate. Perché meravigliarsi se la sua aveva scelto di parlargli? Solo non capiva come queste entità celestiali potessero aver bisogno di sapere. Come? Non conoscevano già tutto loro?

altri spot, diario di un giullare timido, festa della mamma, funghi patogeni, la miglior vendetta, le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi, riflessioni su due ruote, riquaderni dal carcere

sisifeide

la lingua non si staglia sullo scrimolo per proclamare la sua costernazione abbaiando alla sconcia italia. ci arriva appena, spolmonata e ascetica, sfiancata dalle impervie rampe. slombata la lingua che impara a “morire in bici”. s’acceca e si spaura quando che è al sommo, sicché la vertigine la ributta indietro. ricacciata giù per lo stesso versante appena scalato, tutta rovesciata e rattorta, ellalingua riattacca l’erta del dire le cose, ora anfanando ora cantando, quando imbestiando quando ricamando, ma sempre alla caccia della migliore adesione alla realtà (andata in fuga). non ha il gusto della pesca nel torbido perché non è ruffiana né cialtrona né puttana. la mia lingua. RAVB era cognazione d’affetti coi via di testa. e lo stesso l’Anaconda. sarà per il pessimismo di una visione della vita in salita ma almeno è costretta a ricercare la migliore funzione espressiva dei mondi che sceglie di narrare. ben altro che scrivere per mondadori! nevvero, saviano? nevvero, piccole editrici autodistruttive, fresche fresche del nuovo imperativo di mimesi mondadoriana?
nel momento in cui la lingua raggiunge la vetta sa che ha appena un attimo per gridare la sua invettiva congestionata, che poi non ha più tempo e deve rotolare giù a “svolgere il compito cui è stata chiamata” (direbbe qualcuno).
che fa lo scrittore, ancorché scrittore civile? non affronta l’arte di dire le cose, bensì l’erta di dire le cose.
e scusate se sono nicola sacco

letteraria, riflessioni su due ruote

Armstrong e Contador in Astana

riflessioni su due ruote

L’arco di trasformazione del personaggio

Il giovane ciclista siciliano, sicuro campione del futuro, Vincenzo Nibali ha detto di Lance Armstrong qualcosa come voi non potete capire, per me era un mito prima che smettesse, è un mito adesso che ha ripreso, Lance Armstrong è Lance Armstrong … e Armstrong è Rocky.

È possibile. Solo che se fosse Rocky, se solo pensassi questo, oggi non ne parlerei bene. Se Armstrong non avesse spiegato in più occasioni che sono diverse le ragioni che possono ispirare un ritorno alle gare di bicicletta (non c’è solo la voglia di vincere), e che una di queste è la voglia di soffrire ancora, oggi non starei certo a rappresentarmelo come oggetto di stupore metafisico. Se non fosse tornato da ex, a trentotto anni suonati, non avrei, come invece mi sta succedendo, sentimenti di rispetto nei suoi confronti; nonostante la sua conquista di sette consecutivi Tour de France, non ne avrei. Allora lo odiavo. Ammazzava la Grande Boucle senza pietà, un anno dietro l’altro, e per questo non si faceva altro se non sperare che arrivasse in fretta alla fine della sua carriera, che l’età ne decretasse finalmente il tramonto. Come quando ci si consola col pensiero della vecchiaia di Berlusconi: l’inesorabile scorrere del tempo accompagnato da un inevitabile rincoglionimento ce lo accomoderanno fuori dalla scena politica e pertanto fuori dalle palle (hai visto mai?). Il tutto però dovendo fare i conti con un’angustia, con l’amarezza per il fatto che l’epoca che ha visto trionfare il campione non abbia saputo, al contempo, produrre alcuno in grado di batterlo.

Adesso lui torna. Ed è battuto. Nel senso che ci sono altri che tagliano la linea del traguardo prima di lui, dandogli pure bei minuti di distacco. E tuttavia neanche tanti, quei minuti. Allora di nuovo giù a spiegare che la partecipazione alla più affascinante corsa a tappe del pianeta ha, per lui, dei significati che esulano dall’eventualità, a questo punto del tutto esornativa, di mettere le proprie ruote davanti a quelle di tutti gli altri corridori. In altre parole, ci scodella tutta la sua risaputa vicenda in una chiave a mio avviso del tutto sottovalutata fin qui: LA PASSIONE. Passione per la bicicletta e per quel tanto di avventuroso che le corse in bici, soprattutto i grandi giri, si portano appresso. L’impossibilità di vivere senza andare in bici, senza la compagnia di una vita, quella del gruppo. E insisto col dire che questo della passione è un punto centrale per attribuire il giusto valore alle cose che succedono. Si parla qui di uno che ha scelto per mestiere, o anche per vocazione artistica, di andare in bici. E che per quanto ‘bombato’ possa essere (ma a questo punto la lista dei ‘drogati’ è sterminata e a farsene tiranneggiare non otterremmo altro che far cadere molti miti nella polvere, crollerebbero molte certezze con conseguente magari rivalutazione di brocchi inusitati, e allora sì che staremmo dentro un revisionismo opportunista della storia del ciclismo) è sempre uno che per decine d’anni non ha fatto altro che PEDALARE. Pedalare cioè faticare sui pedali, col culo su un sellino, piegati su un manubrio, per ore in un giorno, per mesi in un anno, per migliaia e migliaia di chilometri in una vita. E allora quando qualcuno liquida il ciclismo bollandolo come marcio, che cazzo fa? Contribuisce a un disdoro, un disprezzo sociale, non ingiustificato ma sicuramente esagerato. Come quando per settimane non si fa che parlare del Premio Strega, del vincitore annunciato, delle lobbies editoriali e culturali, delle spartizioni e dei mercanteggiamenti, e si finisce col dire che il Premio è marcio pure lui e vaffanculo. Va tutto bene, non abbassiamo mai la guardia, vigiliamo sempre, rendiamo tutto più limpido, figuriamoci. Ma ricordiamoci che qui si parla di libri. E che sarà mai! Come qui si parla di ciclisti. Non saranno mica questi i luoghi dove pronunciare tutte le nostre condanne, esaurendone i bonus, dove sfogare tutta la nostra frustrazione e il nostro biasimo? Non saranno mica questi i protagonisti di quanto di disdicevole e deplorevole e dannoso e pericoloso si va compiendo nel consorzio degli uomini?

Ma tornando ad Armstrong e questa sua ieraticità finalmente meritata: non Rocky, direi del sette volte vincitore del Tour, ma Clint Eastwood. E non per una facile associazione che improvviso or ora: Il texano dagli occhi di ghiaccio. Ma per la partitura perenne del cinema eastwoodiano: un ex che ha rinnegato il suo passato, un veterano in pensione, magari tormentato da più di un senso di colpa, viene richiamato per un incarico che solo lui, essendo uno specialista o un esperto, è in grado di svolgere. Più che un semplice incarico si tratta di una missione, di qualcosa che il protagonista è chiamato a realizzare per i profondi cambiamenti nelle esistenze e nel mondo di cui è partecipe, nel bene e nel male, dalla sua azione dipendono. Egli dapprima seccamente rifiuta, non può o non ne ha voglia, poi pian piano si ammorbidisce e, da refrattario che era, torna (a patto, però, che faccia a modo suo, che usi i suoi metodi, sbrigativi se del caso, Ispettore Callaghan se del caso), torna e si ritrova, per una ragione o per l’altra, coinvolto in prima persona, col cervello, col cuore, con tutte le sue conoscenze e la sua esperienza invischiato in una maledetta faccenda. Egli ha intravisto la possibilità di riscattarsi da un passato costellato di macchie, di alleviare una sua più intima pena, di espiare la colpa. E nel crepuscolo si manifesta in tutta la sua grandezza. Così come Clint, lui proprio, nel crepuscolo manifesta la sua grandezza autoriale. Ecco Armstrong, dunque, nel crepuscolo pure lui, come a volersi riscattare dalla colpa di aver vinto sette tours (che gli gravino enormemente?), a meravigliosamente soffrire in salita, a morire in bici, a non cercare altro che un finale dignitoso, a conchiudere un capolavoro americano quando nell’ultima discesa di un tappone alpino, a un Nibali che gli chiede il cambio, cioè di andare a tirare per contribuire a un recupero (che non ci sarà) sui migliori che sono più avanti, scuote la testa che non ce la fa e si vede costretto a negare il suo aiuto.

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