l’italia in ginocchio
L’ITALIA E’ IN GINOCCHIO.
STA FACENDO POMPINI AL CAPO!
29 Lug 2008 Nicola 3 commenti
L’ITALIA E’ IN GINOCCHIO.
STA FACENDO POMPINI AL CAPO!
29 Lug 2008 Nicola 3 commenti
Quando la presi in affitto, questa casa, pensai che fosse un buon riparo anche rispetto al caldo. Confidavo nelle mura spesse di una casa antica. Altrettanta fiducia riponevo negli alti soffitti a volta che avrebbero consentito al calore di disperdersi salendo verso l’alto. E invece domenica scorsa, una domenica di fine luglio, alle tre del pomeriggio non c’era scampo al tormento. Senza condizionatore in casa sono uscito sul balcone del palazzotto ottocentesco (nella foto è una finestra nella facciata gialla sul lato sinistro) con la grinta feroce che se caldo atroce doveva essere, che me lo prendessi tutto in pieno. Farsi una sigaretta mentre ti sbatte in faccia quel flagello africano de “la favugna” è come farsi del male due volte. Un accanimento scioccamente letterario che prova a sintonizzarsi su frequenze da “morte del Principe”.
La sorpresa era tutta nel silenzio. Un delirante silenzio, oserei dire, se si esclude il tappeto sonoro del frinire delle cicale. Pensare che il Corso Vittorio Emanuele, sul quale si affaccia la mia camera da letto, per il resto della settimana è afflitto da una circolazione automobilistica di una demenza da competizione, quando invece ora non vi era traccia dell’essere umano, né di qualsivoglia forma di vita, ma manco li cani (come suol dirsi), faceva impazzire dallo spaesamento.
Dalla mia specola privilegiata posso godere di una vista prospettica della via centrale. Gli edifici generalmente bassi si susseguono a partire dal punto di fuga laggiù, segnato da quello che chiamiamo grattacielo: una concrezione di cemento di dieci piani capace da sola di stravolgere la skyline modugnese (nella foto però questa saracinesca non c’è). E solo quella domenica i palazzi più antichi mi si sono rivelati in tutta la loro evidenza ottocentesca (quando non di origine XVIII secolo).
Guardando in basso invece notavo con preoccupazione i cassonetti sulla strada straripanti di rifiuti (cosa che comincia ad accadere con troppa frequenza anche qui): sacchi di ogni colore troppo gonfi, vescicole pronte a schiattare, evocanti palle gustose di gelato alla frutta sistemate sul cartuccio. Magari! La realtà era invece fatta di marciapiedi lerci di unto, tanfo e generale putridume fermentante insieme alle scorze di anguria e alla pastasciutta avanzata e buttata via. Segno comunque che c’era vita da qualche parte ma aveva deciso di starsene tappata in casa. In questi casi non conviene neanche prendere la via del mare.
Volevo un fernet, giusto per non lasciarmi scappare il colpo di grazia di mia spettanza, ma i bar sotto casa erano chiusi. Di aperti non c’erano neanche i banchetti di mandorlari e olivari protetti da lacere incerate turchesi. Un ulceroso, funereo meriggio mi sembrava, e mi soccorrevano in proposito le impressioni di Brancati su “la ripresa buia della luce”.
Non pioveva da quasi due mesi.
Nel meteo regionale non riecheggiava che la frase: sulla Puglia bel tempo. Sulla Puglia bel tempo. Sulla Puglia bel tempo. E nella grafica commentata dal colonnello dell’areonautica il sole, bello come un’arancia, perseverava diabolicamente sul tacco d’Italia. E sullapugliabeltempo , scandendo ogni santa giornata di oltre quaranta infami gradi, finiva per risuonare come una cantilena sinistra, un invito a cedere, a ninnarsi carne sudata, a disfarsi. Una cantilena funebre.
27 Lug 2008 Nicola 1 commento
guardate questa clip e piangetevi via tutto, financo il buco del culo
16 Lug 2008 Nicola 5 commenti
Al quinto chilometro di salita c’è un gruppo, più o meno compatto, di quindici corridori all’inseguimento di altri due. Gli attaccanti di giornata partiti al chilometro zero.
Ma che significa partire al chilometro zero? La voglia di andare in fuga potrà indurre qualche squinternato a partire dal chilometro meno uno? Se non proprio all’alba o nottetempo?
Un racconto di Benni, dal suo Bar Sport, letto tredici anni fa, ancora troppo presente nella testa, mi condiziona inevitabilmente. Vi si vedevano gregari capaci di preparare una carbonara in corsa e improbabili tapponi come la Milano-Leningrado, se la memoria non m’inganna. E imprese mirabolanti quanto il racconto stesso.
Io per me mi sforzo di non risultarne plagiato e di raccontare di uomini che si raccolgono nell’estremo sforzo per riscattarsi da una delusione, da un lutto, da una lei che se n’è andata, da una caduta, dall’essere finiti nella polvere in un’altra vita, quella parallela a questa qui sui pedali.
Per tacere di quegli altri che prima hanno compiuto gesti atletici strabilianti, sforzi assurdi che hanno segnato questo sport di imprese storiche, e poi, invertendo la parabola minchiona dello spirito sportivo, se ne sono riscattati andandosene ‘pei cazzi loro. Andandosene.
Radiocorsa ci informa che i due al comando, i battistrada, col dorsale numero 78 e numero 121 (rispettivamente, ovviamente) , si dànno cambi regolari e quindi procedono di comune accordo. Quando sono transitati al duecentoquindicesimo chilometro (quinto chilometro di salita) avevano ancora un vantaggio di due primi e ventinove secondi.
Un mazzo di fiori stavolta vorrei farlo recapitare allo stoicismo linguistico di radiocorsa, per quel tocco d’antan che i suoi comunicati trasmettono, asettici è vero, ma perlomeno rappresentativi di uno stile non appiattito su una visione sponsorocentrica che indicherebbe volenteri i due al comando come quelli che sono ingaglioffati in festoni pubblicizzanti ceramiche (leggi cessi), radiatori, intonaci, perizoma, tarallucci e vino.
p.s. un asfodelo anche per Gianni Mura
09 Lug 2008 Nicola 0 commenti