Archivi per il mese di Novembre, 2008

minimi sistemi

la dura legge del post

Quando la nostra discussione, partendo da Il delitto dei giusti, è approdata al tema della giustizia mi sono chiesto ed ho chiesto a Giuseppe Giglio se questo totem, la giustizia appunto, potesse avere corso, e se non proprio un presidio costante, che almeno si lasciasse recuperare talvolta nella nostra disperante attualità almeno come memento, cioè come coscienza che non solo nello spazio (ci dovrà pur essere un giudice a Berlino) ma anche nel tempo avrà pure da venire l’ora in cui un congegno teso a ristabilire equilibrio tra individui offesi e oppressi fino a perdere ogni vestigio di dignità ed altri individui oppressori, ai quali la vita sembra aver dischiuso ogni possibilità fino ad apparire, la loro vita, come una perenne, beneaugurante aurora; avrà pure da venire, dicevo, l’ora in cui questo congegno di giustizia possa trovare concreta applicazione.

Da ciò è nato, a mio parere, quel che dovrebbe essere un vero e proprio dibattito: Ripristino di giustizia? Quale giustizia?

Io credo che, se è vero che esiste la sofferenza umana, se è vero che esiste un mondo chiuso e “serrato nel dolore” (Carlo Levi), giustizia sarebbe allora prevedere un ordinamento sociale che sappia farsene carico ed un orientamento culturale, sotteso al primo, che conosca la partecipazione al dolore degli ultimi.

Tutto questo oggi non c’è, o viene a mancare quel poco che se ne era faticosamente costruito, per varie ragioni. Queste le hanno bene illustrate i media con Nanni Moretti che dice: “questo paese non ha più il senso della legalità”; Marco Travaglio che scrive per meglio acconciare, e con maggior humour, il pensiero di Di Pietro; i magistrati che sono costretti in prima linea, ritengo non per protagonismo ma per riempire un vuoto normativo spesso figlio di un vuoto politico se non proprio di un vuoto di pensiero di chi certi problemi non sa neanche da che parte cominciare a gestirli, e gli scivolano dalle mani, gli sfuggono la complessità, le sfumature, i nessi più elementari di causa ed effetto. E poi c’è l’individualismo di tutti noi, l’indifferenzismo dilagante, la deriva morale, la mancanza di rispetto, il si salvi chi può, il suv in doppia fila, il cuba libre e il mojito, la legittima rincorsa al paradiso in terra e la meschina illusione secondo la quale ciascuno di noi, pur vivendo in un villaggio di poche anime, se c’è qualcuno che prepara cuba libre e mojito e te li vende a quindici euro l’uno, pensa di essere felicemente intruppato anche lui in una capitale dell’edonismo.

Se oggi fustighi codesti costumi ti appioppano un moralismo rozzo e da destra e da sinistra. Da destra lo sappiamo. Ma da sinistra, dai comunisti duri e puri, quelli che io credevo uomini dalle mani pulite, sentir strologare di regole, costituzione e diritto come sovrastrutture, come emanazione o riflesso del cerbero imperialista … mah, c’è francamente da trasecolare. Una concezione che non riesce a misurare l’abisso che ci separa dalla piena applicazione, per esempio, della carta costituzionale. Un approccio secondo il quale viene prima di tutto il migliore dei mondi possibili e dopo tutto il resto, e fino a quel momento il rispetto delle regole può anche andare a farsi benedire così come a cacare ci può andare l’avversione nei confronti di chi ci calpesta e ci devasta, noi poveri fessi che ancora crediamo che la cultura propizi la civiltà e esorcizzi la violazione dei diritti. Allo stesso modo fu fatta l’Italia: con gli italiani ancora da fare. E se gli italiani nel frattempo si sono fatti, che spettacolo, signori, questi italiani!

letteraria

Il contesto

Con arroganza ripetete a memoria / quel che non sapete / idee-spray schiuma /di vecchie e nuove idee / (più vecchie che nuove) /che le vostre / labbra squagliano e sbavano / come appena ieri in braccio alla mamma / -La mamma la mamma- / il gelato di crema. E colano / dalle vostre barbe di protomartiri / coltivata impostura / finzione di una maturità che vi faccia / uguali al padre e idonei dunque all’incesto. / la mamma / tutto qui il problema / la donna che sta nel letto di vostro padre / e voi annunciate il suo regno / e sotto la barba avete facce / di sanluigi del neo-capitalismo / tutte le tare dei Gonzaga in quel volto affilato / tutte le tare della borghesia nel vostro / lui cresciuto tra i nani e i buffoni / tra i gobbi e gli impotenti / distillato dal malfrancese / e fu santo perché mai guardò in faccia sua madre / che era donna / e voi la guardate in faccia e pensate / che è una troia se sta nel letto di vostro padre / perché siete più santi di lui anche se non lo sapete / e siete cresciuti anche voi / tra buffoni nani e impotenti / tra l’oro e la luce / la barba dunque a rendere tenebrose / le facce di magnaccia delicati / di invertiti / pervertiti / e Robespierre che non aveva barba / ride di voi della vostra rivoluzione / il suo teschio ride / la sua polvere / la sua estrema omeomeria che più vale / di tutta la vostra vita / cioè del fatto che siete vivi e lui morto / e anche Marx che aveva la barba ride / Ride in ogni pelo della sua barba / ride dei gusci vuoti che vi ha lasciato / sonagliere che tintinnano / del seme essiccato del seme spento / e voi ve ne parate come muli da fiera / le scuote nell’ozio nell’insoddisfazione nel disgusto / (il seme vivo di Marx è in coloro che soffrono / che pensano / che non hanno bandiere) / ridono Robespierre e Marx / ma forse anche piangono / dell’uomo non più umano che in voi si realizza / del pensiero che non pensa / dell’amore che non ama / del perpetuo fiasco del sesso e della mente / con cui annunciate il regno delle madri / e that is not what I meant at all / that is not it, at all / non questo non questo / e nemmeno noi volevamo questo / noi buffoni / viziosi / corrotti / noi padri / nemmeno noi / poiché prostituivamo la vita ma intendevamo l’amore / prostituivamo la mente ma intendevamo il pensiero / la ragione / il sesso / l’uomo e la donna / il maschio e la femmina / il dolore / la morte. / Diceva Talleyrand che la dolcezza del vivere / conoscevano solo quelli che come lui / avevano vissuto prima della rivoluzione / ma dopo di voi (non dopo la vostra rivoluzione / ché non la farete) non ci sarà più / reliquia riflesso eco / della dolcezza del vivere / né di voi resterà storia / se non negli archivi del federal narcotic bureau. / l’uomo umano ha avuto la sua luna / umana dea / quieto lume d’amore / voi avete la vostra / grigia pomice vaiolosa / deserto degno delle vostre ossa non più umane / natura morta con le morte ampolle del senno / ma già non sapete niente / dell’ariostesca fiaba di Orlando / del suo senno recuperato da Astolfo / in un viaggio lunare / del senno sigillato in un fiasco / come il vostro (ma irrecuperabile / è il vostro). Il fiasco natura morta / il fiasco cilecca dell’eros / come Stendhal diceva / in italiano nel testo / Stendhal che voi non conoscete / Stendhal che parla / la lingua della passione cui siete morti.

(Da Il contesto, Leonardo Sciascia)

letteraria

segnalo

funghi patogeni

Il giorno dei morti

Si diceva in giro che l’amministrazione comunale volesse sanare l’immonda discarica e contestualmente ampliare il cimitero con due nuovi lotti. A quel punto c’era solo da aspettare l’ufficializzazione della notizia che si vendevano concessioni per nuovi loculi. Innocenza frequentava il cimitero con la speranza di vedere affisso l’atto comunale negli appositi spazi.

2 novembre 2008 - cimitero comunale di Bari

Le genti si andavano aggruppando intorno alle tombe dei loro cari e parlottavano di svariate cose.
C’era un donna che appendeva la sua borsetta su un ramo di cipresso e si lamentava di uno che se n’era andato senza salutare due giorni prima.
Un uomo con una giacca a vento rossa e un mazzetto di semprevivi dai gambi avvolti nella stagnola, il reflusso gastrico che ne scolpiva i lineamenti, il quale infatti sorrideva, raccontando di quanto avesse mangiato pesante la sera prima.
Innocenza Lacitignola, una signora sulla sessantina dagli occhi nero carbone, capelli grigi dalle colorazioni ruggine, capelli a tinte fosche, a far visita ai suoi morti è riuscita a trascinarsi, per la prima volta, la sua figliola trentenne Vincenza, capelli di un castano slavato e insolentiti dall’alopecia, parimenti slavati gli occhi, slabbrati gli angoli della bocca. Davanti alla tomba Innocenza snocciola preghiere e chiosa: “La vedite a chesse? … (fa una pausa stupendamente teatrale per indicare la donna più giovane al suo fianco) …Ce tene ‘ne brutte destine, chiamataville!”.

Traduzione:

Vedete questa figlia mia? …Valutate: se ha un brutto destino, chiamatela a voi”.


diario di un giullare timido, letteraria

La Repubblica porta ritardo

Scusate ma non riesco a tenerlo dentro:

ho scritto un libro (Racconti a vita bassa) cercando di illustrare un mondo di esistenze sbagliate, vite piene di scompensi morali e fisici, bambini di otto anni già molto smaliziati ma vittime di crescite anomale il cui futuro è un approdo di perversione; predestinazione alla criminalità; un collegio monastico con tutta la violenza fisica delle suore che porto ancora dentro di me; bambini dispersi, ritrovati e di nuovo abbandonati; una dedica a tutte quelle persone che vivono nella totale perdizione e che non intravedono il giorno in cui riusciranno a ritrovarsi; la desertificazione del suolo e l’inaridimento dei rapporti umani; vite vissute per delega, secondo il condizionamento se non la prescrizione di qualcun altro, vuoti interiori incolmabili, arsura morale da parte degli adulti e, per converso, infanzia violata anche da matta bestialità; e nessuna bellezza a far da paciere col mondo.

Le storie intrecciate di Dàniel e Michelino bambini, Gerardina la genitrice possibile e falsa, della quale mi affascinava il percorso che porta una donna, che si sente benefattrice perché fa la carità e raccoglie i bambini per strada, a non sentire più nulla, come per una sorta di legge del contrappasso, finisce per non sentire più nulla sia fisicamente che metaforicamente. L’ho punita in questo modo perché è una persona che ha costruito tutto sulla falsità, sull’ipocrisia, come ce n’è nella nostra provincia: bigottone che fanno finta di occuparsi degli altri ma, quando qualcosa le tocca da vicino, eccole manifestare il loro spietato egoismo.

L’adolescente Olga, ben lontana dalla maturità perché costretta a subire la violenza dell’universo che la circonda: un ragazza in conflitto con tutto e tutti e che colleziona una serie di scelte sbagliate. Olga, diversamente dagli altri personaggi, possiede una famiglia ma evidentemente non le serve.

Tutto un mondo in cui la famiglia non esiste ma di cui, paradossalmente, se ne sente la mancanza, e tuttavia non si tratta tanto di nostalgia della famiglia intesa in senso tradizionale quanto di una rete degli affetti, di legami profondi e reali.

Infine, Riccardo. Spaventevole quanto naturale evoluzione dei personaggi da me creati.

Insomma, tutta una geografia umana ignorata, come nota Giuseppe Giglio, una commedia di demenza e dolore.

Poi un bel giorno arriva R2 (La Repubblica del 20 ottobre 2008) e titola I BAMBINI PERDUTI DI PUGLIA .

Tenere ben presente che si tratta dell’inchiesta di prima pagina della sezione R2 de La Repubblica.

Il giornalista scrive: Abusati, violentati, picchiati. Sono 50.000 i minori abbandonati in Italia, la maggior parte nel Sud. Così, mentre l’adozione è un terno al lotto, le comunità si riempiono di bimbi. Condannati alla solitudine […]
un esercito di ombre condannate ad un limbo: quasi nessuno torna a casa […]
nuovi orfani, figli di genitori falliti… non esiste un elenco di adulti pronti ad accoglierli.

Dopodiché passa in rassegna l’opinionismo di alcune belle teste d’uovo. Nell’ordine, Nostra Famiglia: “parliamo di devianza giovanile e non ci accorgiamo che a esondare è la devianza degli adulti”; il sociologo Giuseppe Moro: “Bruciamo una generazione confondendo l’autodistruzione con la normalità”; il sociologo Saverio Abruzzese: “La precarietà devasta genitori immaturi e la famiglia allargata si disintegra”; Famiglia Dovuta: “è una società tacitamente costruita per l’abbandono… qualche domanda è lecita sugli interessi che si muovono attorno all’agonia delle nostre relazioni; la priorità non è nemmeno più aiutare i figli traditi dall’egoismo, ma salvare gli adulti dal nulla che li uccide; la patente per i genitori”.

Mi si perdoni la presunzione:

MA IO CHE AVEVO DETTO?!