Archivi per il mese di Gennaio, 2009

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altri spot

valzer con Mariuccia

Valzer con Bashir mostra come chi sia stato coinvolto militarmente, fisicamente, in una guerra e ne sia uscito più o meno indenne – ma mai davvero indenne, diciamo sopravvissuto – sia prima di tutto travolto da una scarica di rimozione tesa a cancellare ogni immagine del sangue, dei corpi tumefatti, dei brandelli di carne sparsi dappertutto, del terrore della morte che tutti provano e dell’orrore della morte che a tanti si è inferta. La banalità del male dal punto di vista della torretta di un carro armato, dalla quale si spara non mirando ad un bersaglio preciso e senza alcuna traccia di odio, tirando e basta perché è così che si fa. Non odio e non rabbia. Solo tanta paura.

Essere sopravvissuti a un conflitto armato, magari massacrando per non essere massacrati, porta alla rimozione come se questa fosse una necessità biologicamente imposta e alla quale segue, negli anni, uno sforzo di rielaborazione che altro non è che il cercare di riafferrare quel che si è dovuto espellere da sé. Certi uomini possono risultare talmente devastati da essere costretti a una censura del loro passato. Altri magari no. Penso a quelli che sono esclusivamente vittime o a quelli che non possono celebrare vittorie ma solo piangere vittime, oggetto di sopraffazione di altri uomini; questi uomini forse hanno una necessità più rabbiosa e impellente di raccontare (come è andata davvero), manifestano cioè l’importanza della testimonianza. Ma tra quelli che sono stati ad un tempo vittime e carnefici vi è una sottocategoria, di soldati semplici per lo più, che ‘deve’ praticare l’espulsione per non permettere a quella cosa agghiacciante che ci si porta dentro di rovinarti la vita; per non farsi schiacciare e guastare, per permettersi, infine, di continuare a vivere. E però poi vivere non si può più. L’incubo ritorna sotto forma di ventisei cani accecati dalla rabbia: ti braccano, ti aspettano, ti inseguono, ti ringhiano sotto la finestra di casa. C’è sempre qualcosa, un oggetto, un evento, una persona o una bestia, magari senza una relazione diretta con la guerra o con il passato o con la storia personale di un individuo, che cadendo del tutto imprevista è capace di spezzare l’incantesimo.

Cartone animato di fumetti, sagome macchinose che le senti parlare ma le vedi a mala pena muovere le labbra, siamo dalle parti, come scelta estetica, dei cartoni degli anni ‘70. Eppure una potenza evocativa, di quelle stesse immagini, formidabile. Nell’insieme un linguaggio nuovo, credo, ‘psicanalitico per immagini’, fotogrammi caricaturalmente essenziali per l’introspezione di chi deve risolversi i buchi neri della propria memoria.

Tre ragazzi fanno il bagno di notte in un mare sbalorditivamente calmo di fronte alla città illuminata dalle scie rossastre dei razzi al fosforo. Completamente nudi escono dall’acqua, lentamente si rivestono delle loro divise militari di fronte a uno spettacolo che sarebbe pirotecnico se a guardare non fossero quei loro occhi spenti, già ottenebrati dall’ottusità della guerra.

Questo è quanto racconta il film di Ari Folman, ed anche con una apprezzabile onestà intellettuale – detesto questa espressione tipica dei politici ‘piccoli’. Accusarlo si contraffazione della Storia per aver scaricato le responsabilità degli eccidi di Sabra e Chatila interamente sui cristiani falangisti è da stronzi che non hanno visto il film o non l’hanno visto bene. Anche se non fosse filologicamente corretto, come invece è, certi critici cinematografici dovrebbero sapere dell’impossibilità di fare bei film ‘a tesi’. Ma in certe redazioni non hanno ancora capito dell’impossibilità di stendere buone (utili) recensioni ‘a tesi’.

minimi sistemi

La paresi e la parentesi

Sarà finito l’effetto dell’anestesia o è solo l’ultima botta di vita prima di schiattare definitivamente?

http://www.perilcinemaitaliano.it/

Il festival riesce a sballottarsi un’intera genìa di disgraziati baresi tra proiezioni, seminari, convegni, premiazioni, lezioni e retrospettive.

Ieri ha celebrato Ettore Scola. La mia poetica è in debito con il suo Brutti, sporchi e cattivi. E anche la mia estetica.

altri spot, letteraria

I teoremi del pubblico ministero

Le scuole di scrittura creativa sono doping letterario. Le loro regole, insegnate e applicate costantemente dai soliti furbetti del quartierino narrativo italiano sono colpevoli di drogaggio delle patrie lettere. Il doping letterario consiste nell’uso (o abuso) dei trucchetti del mestiere (di scrivere) allo scopo di aumentare artificialmente il rendimento del libro e le prestazioni dell’autore. Poco si sa degli effetti collaterali causati dalle sostanze fornite al testo mentre evidenti sono i miglioramenti in termini di statura culturale e risultati commerciali. Da precisare, tuttavia, che sul lungo periodo il doping letterario può arrecare gravi danni fisici e psicologici all’autore fino a causarne la scomparsa per anonimato. Il doping letterario dovrebbe essere reato e concorrere alla configurazione della frode culturale.

Tutto quello che le scuole di scrittura possono insegnare lo si può apprendere più agevolmente e senza sputtanarsi migliaia di euro da questi tre libri

(se proprio vogliamo!)

Tutto il resto che c’è da imparare è già nei libri indimenticabili della letteratura italiana e straniera.

festa della mamma, la miglior vendetta

caramelle di lame

 

Mi sono presa tre giorni di malattia. Alzandomi la mattina scopro che la nuova tappa del dolore che colpisce il mio bambino stamane aveva in serbo che la carne si richiudesse sopra il suo occhietto fanciullo. Nel silenzio dell’alba, quando già una debole luce comincia a filtrare attraverso i doppi vetri del mio appartamento, sono stata svegliata da un rumore minimo. Un suono spaventoso a pensarci adesso. Lì per lì non sapevo a cosa attribuire questo rumore, ero nel dormiveglia, ma poi Piero si deve essere svegliato, deve aver capito a modo suo cosa gli era appena successo e ha cominciato a piangere. Piangere? Erano urla disperate. Mi sono alzata di soprassalto, mi sono curvata sulla sua culla e l’ho preso in braccio e nel frattempo scoprivo quello scempio che il Signore gli ha riservato. E capivo atterrita, terrorizzata, che cosa era stato quel rumorino agghiacciante. La carne che dopo impercettibili ma progressivi spostamenti si richiudeva con un ultimo scatto sul suo occhietto chiuso di fanciullino addormentato. Ho sentito una brutta fitta nella bocca, una lima strisciata sui denti.

Adesso rivedo quest’uomo davanti a me. Questo bastardo, lo rivedo dopo vent’anni e proprio non me ne faccio una ragione. Sono tante le cose di cui ho imparato a farmi una ragione. Nel Nuovo Testamento Paolo dice che il dolore non è altro che “il sovrabbondare della gloria in tutte le tribolazioni”, ma io adesso non ce la faccio più.

La lingua è nata per celebrare il mistero del corpo glorioso.