Arrivo giusto in tempo per assistere alla conquista del primo oro italiano alle olimpiadi Londra 2012. Frangilli da Gallarate fa 10 all’ultimo tiro di una battaglia sul filo di lana, tipo che si vince con una roba tipo 219 a 218, tiro con l’arco a squadre, finale con gli USA. Gli americani son tutti bei ragazzoni sanguellatte, di quelli che, vista la struttura fisica, sarebbero competitivi su qualunque disciplina sportiva. Gli italiani son pieni di trippe, hanno il pizzetto sale e pepe e l’aria paciosa, starebbero bene dietro lo sportello di un ufficio postale ad assillare i pagatori di IMU con la promozione dei nuovissimi prodotti finanziari BancoPosta. E invece no, hanno gli avambracci ‘nervosi’ e duri, l’occhio di lince, la glacialità necessaria. In seduta notturna sarebbero capaci di centrarti il buco del culo di una chicchivascia transitante da una fronda all’altra, ’sti qui. Avieri dell’aeronautica italiana nonché arcieri da primato, contraddicono, non senza qualche sorpresa, il cliché del mammone italiano – quando non nettamente superiore, dal punto di vista tecnico, rispetto all’avversario - incapace di reggere la tensione in gara e quindi sempre sull’orlo di un prolasso dei nervi, di un tracollo mentale, di un esaurimento psichico. Taluni rimangono ’sotto’ per sempre. Frangilli, Galiazzo e Nespoli invece stanno sopra tutti gli altri e ci fanno, peraltro e momentaneamente, secondi nel medagliere olimpico.
A margine.
Vista la cerimonia di apertura all’Olympic Stadium, ho capito che nessuna città italiana si vedrà mai assegnati i giochi olimpici almeno per altri 50 anni. Io non vedo nessuno capace di tirare fuori un discorso unitario dalla storia della civiltà italiana e mettere insieme, quindi, politica economia storia economia musica spettacolo letteratura scienze sport e orgoglio, tutto in una rappresentazione bella bella – si dica quel che si vuole – di 4 ore.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) questo lo sa bene e finora è stato anche troppo misericordioso con noi.