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GIORNO DELLA MEMORIA E NEGAZIONISMO

un mio pezzo su SUDCRITICA (http://www.sudcritica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=356%3Asmemoratezze-nel-giorno-della-memoria&catid=1%3Asudcritica-modugno&Itemid=2)

SS

Dai giudici dell’Aja agli amministratori di Modugno;  quello, il paese muto

di Nicola Sacco
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I giudici dell’Aja al servizio della ragion di Stato

La recente sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja offre l’occasione, per il vero non troppo fausta, di tornare su un tema che ogni hanno, verso la fine del mese di Gennaio, viene ad essere al centro di svariate iniziative commemorative: l’importanza di ricordare le vittime del nazifascismo, delle leggi razziali, della Shoah. Si ricordi come tale necessità, prima di approdare in Italia alla legge istitutiva del Giorno della Memoria, fosse avvertita e sorgesse in ambito internazionale sotto forma di proposta, alla quale il Parlamento italiano ha poi aderito con la legge n. 211 del 2000.

In nome del diritto internazionale, oggi, invece la Corte dell’Aja nega il risarcimento alle famiglie delle vittime delle atrocità naziste: risarcimento chiesto dall’Italia (da avvocati italiani) allo stato tedesco in relazione a tre stragi compiute dalle SS in località italiane durante la II Guerra Mondiale con centinaia di vittime innocenti tra donne, anziani e bambini. Argomentazione chiave di questa sentenza è la salvaguardia della immunità di uno stato sovrano. Bene, viene da chiedersi come mai i principi di “cessione di parte della sovranità” debbano valere nel campo delle politiche economiche ma non sul terreno delicato dei diritti individuali, diritti peraltro colpiti da una violazione che reca, nella sua eccezionalità storica, il segno di un’enormità tanto luttuosa quanto inenarrabile. Pare, infatti, che la Corte internazionale statuisca più che altro questo: l’irrilevanza dei diritti individuali di fronte alle superiori ragion di stato.

Dunque, a che serve ricordare? A cosa mai possa servire questo esercizio - ribadisco, in origine oggetto di una proposta internazionale - se non se ne approfitta al momento giusto, cioè quando ci si ritrova a metter mano a questioni che sono evidentemente ferite aperte?

Pur respingendo la tentazione di dire che il Giorno della Memoria, già prossimo a un rituale stanco, non serva a niente, bisognerà pur prendere atto dell’occasione perduta, occasione che, se al contrario fosse stata colta, avrebbe consentito di esclamare: “ricordare serve a qualcosa!” E serve a qualcosa quando il nobile sentimento che lo anima si cala nel concreto e con la tragica concretezza dell’umanità perseguitata fa i conti. Purtroppo non si riscontra questo avviso nei giudici dell’Aja ma c’è da aggiungere che, ben oltre questo caso, il rischio che della memoria non si faccia buon uso è quanto mai reale e diffuso. E pensare che a motivarne la celebrazione - lo si dice e lo si sente dire solennemente – c’è la convinzione che così facendo si riesca a non abbassare la guardia, che si possa restare vigili e pronti a reagire non appena affiorino, nella società e nella politica, quei segnali (o condizioni) inquietanti che riconducono alla cupezza di certi processi novecenteschi sfociati poi negli orrori più impensabili. Ma nonostante i concetti sacrosanti cui si accompagna la formula “per non dimenticare”, troppo spesso accade che gli occhi restino ben chiusi sui pericoli del presente.

Chi scrive ritiene che il Giorno della Memoria sia in grado di dispiegare tutti i suoi significati solo a patto che non si distolga l’attenzione, oggi, da due elementi che si compenetrano: democrazia e diritti fondamentali dell’uomo. L’una non può sussistere senza gli altri, e viceversa. La negazione dei diritti fondamentali dell’uomo non può che risolversi in una sconfitta per la democrazia. E a calpestare le regole della democrazia non può che essere il disegno di attaccare i diritti fondamentali dell’uomo.

L’assessore in fuga se ne sta al Cavallino

C’è un giudice a Berlino. Ci sono altri giudici all’Aja. Altri ancora a Modugno (BA). Quelli di Modugno sono per lo più usurpatori di funzioni pubbliche, si occupano di bassa politica e decidono con una perentorietà e un’inappellabilità precluse a qualunque altro tipo di giudice. Per emettere una sentenza di condanna al mutismo di questo paese, essi hanno calpestato le elementari regole della democrazia, procedendo con le più moderne tecniche di eliminazione dell’avversario politico, oltraggiando i basilari principi  di pluralismo , di tutela delle minoranze, della normale dialettica maggioranza-opposizione. Vanificando, in definitiva, la libertà di voto.

I gerarchi del regime modugnese nondimeno trascurano di preparare l’uomo nuovo. L’uomo nuovo deve avere due qualità: l’indifferenza verso le regole democratiche e l’insensibilità di fronte allo stato di prostrazione in cui versa la propria città sotto i più diversi aspetti (questione ambientale, questione morale e via discorrendo).

Se il panorama è questo, nessun rappresentante attuale delle istituzioni modugnesi può permettersi, né gli conviene, il passo falso di celebrare Il Giorno della Memoria. Risulta però che un assessore abbia preso parte ad una manifestazione per ricordare la Shoah. Risulta altresì che la stessa manifestazione si tenesse in un luogo sufficientemente lontano dal cuore della città (cioè nella struttura di ricovero per anziani Hotel Cavallino). Che abbiano avuto un soprassalto di pudore? O sono ancora ben determinati a fare in modo che la memoria stia alla larga da Modugno?

funghi patogeni

Come imparare a camminare su un tacco 15 di fango durante l’attacco speculativo alla festa 40 /4

Ma non ci fu bisogno di alcuna smentita, presto fu subito chiaro che il capo-delegazione Tupac-Amaru doveva pervenire a completa integrazione dentro la festa 40. Non poteva mai esserci intelligenza col nemico. Il segnale? Più d’uno: la sua esagitata richiesta di pompare i volumi, le sue sgaloppate da un capo all’altro della sala come se davvero gli mancasse un cavallo di sotto al perineo e i suoi strazianti ululati invocanti “un cavallo! Il mio regno per un cavallo!!!”

Che il novello Riccardo III fosse pronto a svendersi le lotte per i diritti civili degli sfollati che s’era tirato dietro per riavere il suo fantomatico stallone? Gli amerindi già lo guardavano con gli occhi iniettati di sangue mentre il plantageneto ci teneva botta con uno sguardo iniettato di birra che, ahiloro, non voleva significare assolutamente un cazzo. DJ Ramòn Misteri allora si metteva a compulsare tutte le risorse del computer nella speranza che in qualche suo recesso fosse rimasta traccia di un mp3 degli Inti Illimani, un tentativo a capocchia così giusto per addolcire gli animi. Meno male che a ’sto punto si formava un coagulo di pura luce dal quale sorgeva una voce soave e soavemente intarsiata di una qual certa apprensione.

“Le beau cheval!” riversavansi miracolose onde sonore nei padiglioni auricolari degli astanti. “Mon cheval, qui l’a vû? Je vous en prie, dites-moi qui l’a vû!”

Marie- Soledad Sacco, la bella palafreniera, emergendo da un cappottino di pannelli solari, si mostrava ora nel suo bel vestitino di inquietudine con paillettes di tormento. “Ragazzi … (tra sé) Oddio, se ragazzi posson mai esserci alla festa di un quadragenario … Ok, ragazzi, perdetti mon cheval. Passò per caso di qui? Oh, mon dieu, sono disperata …”

“Tutti l’abbiam veduto, sta’ tranquilla. È di là, adesso, nella stalla, e uno che non si riconosce nel patto sociale, né tanto meno in questa festa, lo sta rifornendo di biada.”

Il cuore d’oro di Dj S’è Perso era accorso a consolarla.

“Posso fidarmi?”

“Sì ma non dirlo a quello lì” le fu indicato il tarantolato Tissi che ormai non ci sentiva più. “Se viene a sapere che habemus ciucciarellum quello lo monta e lo cavalca fino a finis terrae. Adesso divertiti. Vieni che ti offro un Ciobar.”

A scortare la disarcionata Soledad v’era sua sorella Briscola-Donnadispalle-Rida, attrice nel fotoromanzo Sacco’s & the City, reduce dal set dell’ultimo inquietante episodio “La briscola-La donna di spalle”, indove tra l’altro s’inaugura un nuovo seme nel mazzo di carte napoletane: dopo i denari le coppe i bastoni e le spade, siòre e siòri …. LE SPALLE! Ella s’era talmente calata nella parte che riusciva a dare le spalle a chiunque, in un vero e proprio numero da illusionista; nessuno, durante il baccanale, può dire, infatti, di essere riuscito a vedere il suo volto. Tutto il repertorio fotografico relativo al party ne è una conferma.

Benone, festone ormai a regime, dionisiaco il giusto. Ormai sono tutti in forno, dalle squinzie della casa dei cuori infranti ai campesinos, dal parentado assortito alle amicizie più sbagliate, liberi professionisti e randagi inguaribili sognatori dai calzini scompagnati, tribù di crucchi e ispanici, molta East Europe e un zinzino di teppa nostrana. Arriva finalmente DJ Tommaso Accroccodiconsonantiacasaccio’Erti con delle allarmanti scarpe antinfortunistiche ai piedi e la prima cosa che si mette a fare è auscultare i muri portanti della villazza. Mah … Che ce l’abbia fatta davvero, il Vaccarelli, a mettere insieme un po’ di sbalestrati?

Il dj set di Ramòn Misteri volge al termine. Si mandi a chiamare il secondo in scaletta. Ma Dj S’è Perso non si trova, nomen omen, vacabòia. Ma dov’è? Fate presto, si trovi il S’è Perso.

“È in bagno da mezz’ora” informa Dorian Gray come primo di una lunga fila di vesciche alcoliche smaniose di svuotarsi.

“Ohibò, che si stia sfruconando la bottega?” si sghignazza. Allora si prende a battere energicamente alla porta del cesso gridando “Dài, Andrè che tocca a te!!!”

La porta si apre lentamente e Dj S’è Perso ne esce compassato con un asciugamano torno torno alla capoccia.

“Scusate, dovevo lavarmi i capelli.”

Lo spingono verso la consolle che ancora gira l’ultimo brano di Misteri.

E in hoc signo BLACK OUT.

part four

funghi patogeni

Come imparare a camminare su un tacco 15 di fango durante l’attacco speculativo alla festa 40 /3

Sabato 14 gennaio 2012. Villa in campagna. Campo di gioco già saggiato, arato e infine messo a maggese del piccolo Rufus Rubacuori, un anno e mezzo di vita che corre e corre, compiendo ben 526 giri di campo e mettendo lo sbalorditivo record di un 1′ e 7″ netti. Benché incontenibile deve subire un tentativo di avvicinamento dei primi quindici invitati: chi vuole un bacino, chi immagina di arruffianarselo con pupazzetto Gordian riesumato da non si capisce quale piccolo mondo antico, chi pensa di comprarlo con delle biglie americane e il mitico pallocciotto, chi con i play-mobil versione pompieri, uno vestito da Uomo Ragno che per attirare la sua attenzione spara la ragnatela dalle dita catturando tutti i panzerottini della serata e facendo imbestialire il festeggiato. Risultato raggiunto in 52″ netti: Gordian impiccato che penzolerà sinistramente sulla testa dei DJ’s per tutta la notte; biglie americane, pallocciotto e panzerottini fatti ingoiare a viva forza ai primi sette invitati, l’Uomo Ragno spantegato su una parete, gli altri sette comunque saccagnati di botte per mano dello stesso Rufus. Qualche clemenza è stata usata ai play-mobil, spediti a fare i nani da giardino.

Luci basse e musica che prende quota. Che la festa cominci!

Manco la bocca devi aprire e la crescina prende a circolare aggratìs. Ser Gianga e Johnny Arthur Quonzarelli, tricologicamente svantaggiati di lungo corso, vi si avventano come erinni. Ramòn Misteri in consolle col compito di scaldare i cuori e aprire le danze. Subito un evento magico e atmosferico: irrompe in sala un sudato e fumigante puledro, che esce dalla porta sul retro così come è entrato. Tutti pensano a una spacconata del Vaccarelli per rendere la festa, la sua festa, più geniale. Applausi. Altri super-ospiti arrivano alla spicciolata: scoppiati del XX secolo e nouveaux bourgeois, sellerone, sgallettate e bellezze galiziane in ordine sparso, Dorian Gray e Tina Pica sospetti imbucati, la rosa dell’Albinoleffe al completo giacché in ritiro nel podere adiacente. Passaparola equivoco: è arrivato il peruviano. Molti credono trattarsi di fumo e già squadernano cartine. In realtà il peruviano è Filippo Tissi con indosso il tipico costume del gaucho e in evidente stato confusionale. Vaneggia di essere stato sbalzato da cavallo mentre guidava un corteo che manifestava per i diritti civili degli amerindi. Filippo Tissi è matto come un cavallo e mezzo. Infatti, fa il suo ingresso e dilaga sulla pista da ballo anche una delegazione di Tùpac Amaru. Giorgio kulashaker Mancino, mastro biberoniere, costretto a consegnare tutte le confezioni da tre di birra peroni perché los campesinos hanno da suonarle come flauti peruviani. Dorian Gray, sussura sferzante all’orecchio di Tina Pica: “Il terzomondismo del Tissi mi dà la nausea”. “E vabbuò, nun ce penzaje, mangiate ‘na sfugliatella” lo consola Tina Pica infilandogli una pizzetta in bocca. Senzuale.

Intanto si fa largo la convinzione che l’attacco terroristico sia già in atto. E Filippo Tissi sarebbe la quinta colonna del nemico.

part three

funghi patogeni

Come imparare a camminare su un tacco 15 di fango durante l’attacco speculativo alla festa 40 /2

Assise di stronzi dunque proprio no, tanto più che chiunque fosse presente quell’apocalittico sabato notte in cui si annunciarono tutte le nefandezze previste per il 2012, bene, chiunque fosse lì poteva apprezzare un bouquet sociale, ivi convenuto, straordinariamente variegato: dal lunpenproletariat dignitosamente (?) rappresentato dal Filippo Tissi al ceto medio riflessivo (incarnato dal ser Gianga) alla high society delle Sacco’s & the city. Financo un tizio, in rappresentanza della bohème più stracciona, che non faceva altro che ripetere di non riconoscersi all’interno del patto sociale e che è sparito dopo dieci minuti. Chi dice che s’è buttato nella lama dopo essersi fatto un negrone sbagliato (tiro molto mancino giuocatogli da Giorgio kulashaker Mancino mastro biberoniere), chi dice invece che DJ S’è Perso non lo ha retto più sin da subito e conducendolo in camporella col pretesto di mostrargli meglio certi protopianeti plutoidi allogati nella volta celeste, dietro un pitosforo gli avrebbe tranciato la giugulare servendosi dell’apriscatole che egli porta sempre con sé insieme con la confezione da 15 di carne Simmenthal. Nel caso sia buona la seconda, sono certo che il buon Andrea non abbia trascurato di avvolgere il cadavere in un bustone dell’immondizia pur di poter ammirare per qualche secondo l’epifania iconica di Lara Palmer.

Ma riabbobiniamo un attimo il nastro. Nei giorni che precedettero il fatidico sabato notte, si poneva come imperativo quello di non farsi condizionare psicologicamente dal pestaggio mediatico messo in atto dalle potenze buie della reazione. Ecco, quindi, nella sfarzosa magione nei pressi del diroccante teatro Santa Lucia, Andrea S’è Perso e Ramòn Misteri, nominati DJ’s secondo il discutibile nonché riformabilissimo sistema elettorale che va sotto il nome di Vaccarellum, sfogare i nervi in un penoso mercimonio di brani doppione. Ebbene, messe le scalette sul tavolo e scoperti i brani x, y, z in comune, scattava una riprovevole trattativa della serie: “Ti cedo x se mi dài y e z più la figurina di Bergomi al mundialito ‘82″. Ramòn Misteri, messo in condizioni di non nuocere grazie ad un’abilissima manovra laziana (un olezzo infernale di carne Simmenthal stracotta, sapientemente diffuso all’interno dell’abitazione giusto qualche minuto prima del suo arrivo), finiva per cedere su tutta la linea e già pensava di ripiegare su Enigma, Dragostea e Edward Maya feat. Vika Jigulina. Intanto l’ansia si tagliava a fette, c’era bisogno di conoscere anche la scaletta del dj festeggiato ma questi tardava ad arrivare. Infatti, appuntamento alle 21.30 e quello niente. Quando finalmente si presenta ha pure il coraggio di dire: “Mamma mia, non è da me, sono addirittura in anticipo”. S’è Perso e Misteri lo guardano esterrefatti e quello rincara: “Oh, sono le 21.25″. E i due: “Sì, sono le nove e venticinque ma di due giorni dopo. Quindi a questo punto il tuo dj set è saltato”. Meno male che restava pur sempre la performance del direttore dell’accademia del Santa Lucia, maestro Tommaso Accroccodivocaliacasaccio’Erti, forte della sua ventennale esperienza di giostraio jolly e tappabuchi, col quale si sentivano tutti più sicuri, anche perché c’era il tacito accordo di usarlo come scudo umano in caso di bombardamento da parte dell’aviazione degli imperialisti del divertimento uichendistico.

part two

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Come imparare a camminare su un tacco 15 di fango durante l’attacco speculativo alla festa 40 /1

Essì che la voce imperversava tanto che l’invidia stava avvelenando tutti i pozzi notturno-danzerecci del comprensorio barese. Durante la prima metà del gennaio 2012, un imprevisto asse tra quelli del Neu‘antri Club, Haciendalisti e Nuovi Demodés s’andava raggruppando in una inedita Grosse Koalition per un’azione che ruotava tutta attorno all’approvazione urgente del decreto Salvasabatosera, il cui contenuto era però ancora coperto da segreto di provincia. Da fonti più o meno attendibili era trapelato solo che tale decreto nasceva per neutralizzare, se non proprio sabotare la festa 40 indetta da un irresponsabile Nicola Vaccarelli per festeggiare i meno sessanta dalla morte. Cotanto baccanale minacciava, sebbene ad accesso esclusivo per inviti e a numero chiuso, di far mancare invece il numero legale ovvero la bella gente alle serate organizzande dai rispettivi succitati soggetti promotori. Per tacer del rischio ‘infiltrazioni’ che, stante il tam tam sempre più febbrile sul web, s’andava facendo molto concreto, indi foriero dello sgradevole fenomeno degli imbucati in relazione alla festa 40, ma altresì e indi foriero di ben più sanguinose assenze in relazione ai consessi già calendarizzati dai giganti della scena alternativa. Montava, indi, una malevola propaganda con l’obiettivo di screditare, quando non proprio immerdare, il rito autocelebrativo del neoquarantenne – e si sarà capito che l’indie è come il maiale, dell’indie qua non si butta via niente, nemmeno il suo prefisso ‘indi’ suscettibile di essere letto come avverbio. I giganti, così facendo, mostravano un’incresciosa indifferenza, ma c’era da aspettarselo, verso il clima e lo spirito nei quali era maturato il decreto CresciNico istitutivo della festa 40. Cosa che avrebbe dovuto alquanto alimentare il dubbio che l’evento non fosse poi così autoreferenziale. Ma si sa, gli italiani, ancorché baresi, sono gente che odiano, e fu così che furono artatamente messe in giro puttanate sesquipedali, tipo che alla nostra festa, la 40, sarebbe in primo luogo circolata un’inservibile droga da pezzenti: la crescina.
In secundulum, altre cattiverie giù giù fino all’infamia, origliata da qualcuno, che “la festa 40? Macché! Quella sarà un assise di stronzi!”. Il che, detto da un aziendalista o, peggio, da un new anachronique, suona sempre molto ancien régime.

part one

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LA POLITICA DEL LOGGIONE AI TEMPI DI MONTI

Furbescamente si ritirano


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L’
eclisse della politica, l’annullamento dei principali partiti in Monti, e nel suo governo, celano quanto di più allarmante si possa immaginare per il futuro della società italiana: che l’attuale, rovinoso assetto politico – per intendersi, quello profondamente intaccato dalla logica delpartito unico, ravvisata da Nicola Magronequi (Dal bipolarismo al partito unico - Lo “scandalo italiano” secondo Giovanni Sartori) - ancorché oscurato da una sedicente tecnocrazia, dall’attuale situazione possa trovare il modo di trarre benefici, i margini per riorganizzarsi e i tempi per ricostituirsi in un certo senso più forte di prima, in altre parole, quindi, più letale domani.

Per evitare che questo si verifichi vanno segnalati con forza e in ogni occasione utile l’impotenza, l’implosione e il fallimento delle forze politiche rappresentate oggi in parlamento. Bisogna cercare di smascherare tutta l’incoerenza che essi oggi si consentono. Bisogna denunciare le loro tattiche “di lotta e di governo” se non si vuole, in un futuro non molto lontano, ritrovarcisi con le suddette tattiche elevate al rango di “grandi strategie” che avranno consentito loro, presumibilmente, di prendere nuovamente il potere, magari tra uno o due anni.

Si tratta, con ogni evidenza e ancora una volta, di un discorso inestricabilmente legato alla imponente crisi economico-finanziaria, ma a questo punto anche culturale, che sta imperversando ormai con effetti drammatici nella vita quotidiana dei singoli individui. Cercare di spiegarla, inquadrandola storicamente anche per individuare le responsabilità di persone, soggetti e gruppi di potere che ci hanno portato fino all’oggi così gravemente segnato da umiliazioni e sofferenze per molti, è compito di un qualche superesperto di economia che abbia finalmente voglia di verità. E una tale figura non è alle viste, nonostante tutti i giornali siano ormai zeppi di articoli e fondi a firma di superesperti di economia, i quali però, complice un gergo colpevolmente tecnico, sembrano trattare la crisi non come un fatto umano, cioè riconducibile ad atti e scelte degli uomini, ma come entità metafisica oppure come dato di naturanecessità di natura. Il cittadino comune deve guardare alla crisi come a una calamità naturale. Nel frattempo, in attesa che di un sincero lavoro di ricerca storico-economica qualcuno voglia finalmente farsi carico , e in attesa degli esiti di un simile lavoro, i quali, vien facile immaginarlo, inevitabilmente porterebbero a una severa condanna della gran parte delle politiche seguite finora, per quanto ci riguarda e per come ci viene propinata, alla crisi siam liberi di credere come di non credere. Quello a cui dobbiamo credere, invece, sono le misure economiche che ci vengono imposte, misure di crisi a tutti gli effetti. Provvedimenti dolorosissimi che inducono difficoltà spesso intollerabili, asfissia, miseria che sopraggiunge da un giorno all’altro. Sappiamo che quei provvedimenti sono adottati da chi non ha, in quanto “tecnico”, una visione politica, e non sa, probabilmente, fare altro. Sappiamo che quei provvedimenti non passano se il parlamento, composto prevalentemente di gente inguardabile, non ritiene di approvarli. E sappiamo altresì che invece essi passano facilmente perché la politica, pur eclissata, pur impotente, pur inguardabile, deve dare dimostrazione di responsabilità. Ecco, in nome di un agire responsabile, e per il bene del paese, il principale partito del centrosinistra offre appoggio incondizionato a un esecutivo di destra (guardare tutte le sue ricette per credere), in un sostegno ormai acritico, senza nemmeno usare l’astuzia di mostrare qualche punta di dissenso, come fa da mesi ormai il principale partito di centrodestra. Il primo spera di incassare dividendi politici dalla propria partecipazione al salvataggio del paese, il secondo spera altrettanto prendendo fintamente le distanze dall’esecutivo che esegue il lavoro sporco che la destra prima al governo non ha avuto il coraggio di fare, tutto allo scopo di far dimenticare tre anni e mezzo di guida disastrosa.

Furbescamente si ritira!” gridava, nell’unico film che li ha visti recitare insieme, AlbertoSordi a un Totò appollaiato sul loggione che, lasciatosi scappare uno starnuto, aveva imbrattato la pelata di un sua eccellenza seduto in platea al quale il personaggio di Sordi faceva daportaborse. Oggi, i ruoli sono invertiti sicché tutte le eccellenze sistemate sul loggione, dopo aver imbrattato la vita di milioni di persone sotto di loro, “furbescamente si ritirano“.

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Spiritualità e Dottrina del PDUDC. Declinazione di periferia del terzo segreto di Fatima

Dovremmo forse metterci alla ricerca dei tre pastorelli per sapere. I tre pastorelli che conoscono il terzo segreto di Fatima – le ragioni per cui Filippo Bellomo si è dimesso dalle cariche di vicesindaco e di assessore alle attività produttive. Questo perché Papa Domenico Gatti, ritenendo non sufficientemente matura la comunità dei fedeli, ha deciso di non rendere pubblico il contenuto evidentemente “impressionante” del cosiddetto segreto.

E sì che dalle teofanie longhiane non si cava un ragno dal buco; Nostra Signora Peppino Longo ci concede una nuova apparizione ma, ahinoi!, seguita a parlare per enigmi:

Magari dopo questa parentesi si potranno aumentare le occasioni di incontri collegiali nei quali discutere sulle modalità di accelerazione delle iniziative tendenti a risolvere i problemi della nostra città”.

Nel frattempo, Sua Santità trova il modo per dolersi delle mancate spiegazioni del gesto rinunciatario del suo, ormai ex, segretario di stato e manifesta il timore che, a seguito di questo atteggiamento, imperversino le solite dietrologie dei soliti avvoltoi.

Insomma, il quadro è questo: tutto un blocco di potere ha reso sistematica la pratica del “non dire”, del “non spiegare”, del “non rendere pubblico” ciò che è pur sempre di pubblico interesse – e la casistica è ormai imponente: dai problemi giudiziari dei politici al caso della ex-cementeria, etc. -, eppure questo non impedisce di sgomentarsi, all’interno stesso dei propri patti e accordi e comitati d’affari,  per i “silenzi”di turno.

Qua s’è fatto ricorso a categorie mariologiche per non farne un altro più opportuno, e pure più preoccupante, alle categorie “mafiologiche”, vedi i fenomeni omertosi, i riposizionamenti, i tradimenti, le pugnalate alle spalle tipiche dei regolamenti di conti “interni”. Non ci avventuriamo su questo terreno perché terrorizzati dall’ammonimento pontificio a non comportarci almeno noi da “avvoltoi”. Non sia mai che ci si accusi di parlare per bocca delmaligno. Pertanto, preferiamo tornare allo spirito religioso di questi giorni di presepi, confidando a tal proposito in un pastorellismo diffuso. Lo stesso spirito religioso cui ci esortano, tra l’altro, le colonne dell’Avvenire de’ noantri, concludendo l’intervista a un’Immacolata Concezione che ha appena finito di predicare il bene comune:

Grazie. Grande è la speranza che l’ascoltino”.


Genuflettiamoci.

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Sfregio alla Costituzione.Ma non ci lasceremo vincere dallo sfinimento da esegesi

Un estratto da Sud Critica su Caso Modugno - La formula inedita della

corruzione bipartisan

[il partito unico]

IL SINDACO E I CONSIGLIERI DEL PD INDAGATI DI MODUGNO SI “AUTOSOSPENDONO” DAL LORO PARTITO. TUTTO QUI


di Nicola Sacco

Forse il Sindaco di Modugno ci vuole prendere per sfinimento da esegesi dei suoi messaggi o forse non si rende conto delle torsioni che imprime al suo linguaggio, reduce com’è da una storia partitica “costretta” per troppo tempo al ricorso a parole e comunicati mai significativi di niente per giustificare la propria presenza in abominevoli maggioranze a sostegno di parimenti abominevoli amministrazioni. Tuttavia, vogliamo ricordargli che esistono ancora individui e pezzi della società civile, determinati a non farsi devastare mentalmente dalla sua prosa, anzi, piuttosto ben allenati a riconoscere in essa, nelle sue reticenze, nei molti balbettii e nei suoi incredibili numeri di equilibrismo, i sintomi delle difficoltà di un ceto politico nonché i ruggiti mal soffocati di un potere ferino.

Il sig. Sindaco. Lo si invita a dare qualche spiegazione dei suoi problemi con la giustizia  - non tutte le spiegazioni che occorrono in un tribunale, naturalmente - alla cittadinanza, nella quale è compresa anche il suo elettorato, e lui sceglie di non rispondere; le indagini prospettano uno scenario di una gravità clamorosa, per il coinvolgimento di troppi soggetti politici e para-politici (troppi sono gli amministratori, i consiglieri di maggioranza e di opposizione, i tecnici, i direttori generali, i sindaci e gli ex sindaci coinvolti), facendogli con ciò notare che non c’è un problema Domenico Gatti in quanto nome e cognome ma ne esiste uno molto più ampio e sovradimensionato e preoccupante … e lui sceglie di minimizzare - diventando ipso facto egli stesso, nome e cognome, quel problema che prima eravamo disposti a negare . Quasi, anzi, a conferma che le preoccupazioni dei cittadini in questa città sono condannate all’irrilevanza. La politica? E quando mai è venuta occupandosi di queste?

Per intenderci meglio, “Sono indagati [dal PM di Bari Francesco Bretone] per il reato di concussione amministratori Pd, Udc e Api della vecchia e nuova amministrazione comunale di Modugno, accusati di aver, a vario titolo, partecipato dal 2003 sino a pochi mesi fa al rilascio di concessioni edilizie fatte costringendo i costruttori a versare tangenti in denaro e beni vari.” (dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 28 ottobre 2011). Succede che, a seguito di queste notizie, comincino a spuntare svariati appelli alle dimissioni. E il Sindaco di Modugno, Domenico Gatti, che fa? Replica (tardivamente) che fino a quando l’azione giudiziaria non entrerà in contrasto con la sua amministrazione, questa andrà avanti. Ma allora, ci si chiede, il signor Sindaco non ha compreso qual è il reato su cui si indaga? Come può il sospetto di concussione,“il più grave dei reati contro la pubblica amministrazione”, non essere in contrasto con la suaamministrazione - dove l’aggettivo possessivo individua esattamente lui come primo cittadino, cioè come primo cittadino (imputato e) indagato? Come può essere che ciò non interferisca con il loro mandato? Come può essere che un’indagine riguardante non una sola persona ma un intero blocco di potere non interferisca “con i diritti della città”?

Con tutta evidenza: non può essere.

O forse intendeva dire, il sig. Sindaco, che non vi può essere contrasto tra indagine e amministrazione nel senso che non si dà contrasto, in quanto c’è sì l’indagine ma manca l’amministrazione? Aggiungendo magari l’ammonizione all’indagante a non interferire con i diritti della città, perché non si dà interferenza tra il PM, che c’è e va rispettato, e i diritti della città che non esistono perché tutto è da tempo cosa loro (degli indagati)? Si sono preservati i diritti del Partito Democratico, con l’autosospensione. E tanto basta, no?

Ma ancora, il sig. Sindaco non si risparmia d’esprimere una sorta di timore che questo Consiglio Comunale, data la situazione, si ritrovi ad avere molti nemici politici.

Noi aggiungiamo che molti nemici li troverà anche nei semplici cittadini, i quali, dal loro punto di vista, e non ricevendo più spiegazioni da un’eternità, non possono più fare a meno di considerare questo Consiglio Comunale come oggettivamente corrottoCorrotto da un terribile sospetto che lo attraversa in senso trasversale. Corrotto dalla comune necessità di elaborare una linea difensiva che resti coerente tra tutti i suoi componenti, indagati e no. Perché? È forse pensabile che tutto questo non avrà dei riflessi? Sembra verosimile che tutto questo non finirà per condizionare e intossicare maledettamente la vita e l’attività consiliare? Corrotto, dunque, questo Consiglio Comunale. Corrotto nel suo significato, nella sua ragion d’essere istituzione che favorisce e sviluppa la dialettica democratica (Costituzione alla mano).

E nonostante tutto, a loro, sembra dire il Sindaco, non importa più di tanto. “Fa parte del gioco”. Già, un gioco al massacro. Al massacro della democrazia. Qui, in Modugno.

PS - E insiste.

L’autosospensione come “atto d’amore per salvaguardare l’immagine del Partito Democratico“.

E qui mi incarognisco. Se l’autosospensione dal partito serve a salvaguardare l’immagine di un partito, a fargli ritrovare una verginità evidentemente compromessa da un’inchiesta, logica vuole che la mancata autosospensione dalle cariche pubbliche non salvaguarda l’immagine delle stesse. Cioè, le figure istituzionali del sindaco e dei consiglieri sarebbero, allo stato dei fatti, vilipese e pervertite dalle persone che le abitano. Se il Partito Democratico si ricuce la passera, le istituzioni cittadine possono invece squadernarla serenamente, felici e contente di mostrarla tutta sconciata?  ns

letteraria

I frutti di Camus a maturazione

“la peste aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da tutti.”

Terzo momento, integralmente incardinato su La Peste - dell’indagine sulla scrittura e sulla visione filosofica di Albert Camus. V. anche I frutti di Camus e Le madri di Camus.

Joseph Grand, volendo imparare a trovare le parole, scopre che la donna che lo ha lasciato, e alla quale sempre pensa, avrebbe potuto essere trattenuta se solo, a un dato momento, egli fosse riuscito a trovare le parole. Ma non ha potuto.

Adesso il Romanzo, come si conviene, tutto ricomprende: l’amore, il cinismo, la pietà, l’astratto (non più l’assurdo della peste), la paura, il diritto alla felicità di ogni uomo.

La scrittura di Camus lievita come un’estate feroce: flutti ininterrotti di Romanzo inondano le sue pagine. Il microcosmo di Orano, vetrino da esperimento per le passioni di un’umanità al limite tra disgregazione e solidarietà – così, molto felicemente, recita il testo della quarta di copertina – è puntualmente indagato in ogni suo recesso. La peste è un romanzo talmente ambizioso che una volta riuscito non può non essere classificato patrimonio dell’umanità. Il suo vertiginoso coefficiente di difficoltà, insito nel non irrilevante problema di restituire in modo credibile al lettore un universo colpito dalla peste, diventa quindi il tratto più prestigioso dell’opera. Questo avviene perché, ad onta della natura tutta finzionale dell’espediente narrativo della pestilenza, mai, davvero mai, quella che tecnicamente si chiama sospensione dell’incredulità viene a subire contraccolpi. In maniera molto volgare, o in due parole, siamo dalle parti della lettura avvincente.

La congerie umana gode qui di una rappresentazione completa e approfondita. Abbiamo visto Joseph Grand, adesso mette conto parlare della straordinaria figura del padre gesuita Paneloux. Sembrerebbe sulle prime, un teologo colto e integerrimo, una specie di prefetto della congregazione per la dottrina della fede, pronto a giustificare la pestilenza come punizione biblica venuta a colpire i molti che hanno perso di vista Dio o che si sono troppo adagiati sulla sua misericordia impedendosi così di soddisfare il suo “divorante affetto”. A mio parere, il personaggio viene omaggiato da Camus di un’eccellente retorica e di una grande capacità evocativa e visionaria (la sua prima omelia sul castigo divino resta un ‘evento’), il che consente all’autore di meglio precisare il suo dissenso dall’interpretazione religiosa senza però ridurre a macchietta l’uomo di chiesa né banalizzare la stessa chiesa. Camus può prendere rispettosamente ma fermamente le distanze da un approccio filosofico che non condivide: la giustizia divina che s’abbatte sul mondo per ripulirlo dalla colpa. Ove mai Paneloux riveli un limite, questo non andrebbe individuato nel dogmatismo di un retrivo ministro di dio ma al più nel suo procedere in un sistema sì dotto da scontare un certo distacco dal mondo degli uomini, una freddezza, al cospetto del dolore, che non è di alcun beneficio alla religione medesima. “Paneloux è un uomo di studio, non ha veduto morire abbastanza.”

Ma poi la peste cos’è? Un portiere comincia col delinearla in conformità con quelli che sono gli intenti allegorici dell’autore: “Se fosse stato un terremoto! Una buona scossa e non se ne parla più … Si contano i morti, i vivi, e il gioco è fatto. Ma questa porcheria di peste! Anche coloro che non l’hanno la portano nel cuore”.

Le scelte morali

Tarrou ha una sua morale, qual è? La comprensione.

Rieux, a sua volta, quella di curare la miseria.

E ancora, la morale del Narratore (il quale interviene in prima persona a pag. 101): “dando troppa importanza alle buone azioni si finisce col rendere un omaggio indiretto e potente al male: allora, infatti, si lascia supporre che le buone azioni non hanno pregio che in quanto sono rare e che la malvagità e l’indifferenza determinano assai più frequentemente le azioni degli uomini”. Il Narratore si fa “storico dei cuori straziati ed esigenti che la peste diede allora a tutti i nostri concittadini.”

Poi c’è Cottard, il prototipo dell’uomo che si trova meglio da quando nella sua città s’è installata la peste.

Il giornalista Rambert non fa che escogitare fughe da Orano perché non crede nell’eroismo, anzi peggio, lo crede omicida. E ciò che egli trova davvero importante nella vita è “che si viva e che si muoia di quello che si ama”.

Camus ci prova, tenta di sfidare l’assenza di senso dell’esistere, estende il contagio fino a quando questo non ha eliminato tutti i giudizi di valore. “Si accettava tutto in blocco”, scrive sfidando la sue stessa creazione letteraria, quella che gli sta alle spalle. Con questo suo estremo tentativo, prova a sterilizzare l’amore fino a creare un mondo insensato, basato sulla “pazienza senza futuro” e su “un’attesa incagliata”, nel quale gli uomini restano uccisi come mosche. Ma resta, per così dire, vittima della immensa sua costruzione. Adesso non può fare a meno di osservare “l’appetito di calore umano che spinge tuttavia gli uomini gli uni verso gli altri”, e li spinge fino anche alla spasmodica ricerca di quei “torridi piaceri che li difendevano dal gelo della peste”.

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letteraria

La penna dell’epidemia

Un uomo che lavora, la povertà, il futuro lentamente chiuso, il silenzio delle sere intorno alla tavola, non vi è posto per la passione in un tale universo. Probabilmente Jeanne aveva sofferto. Era rimasta, tuttavia; accade che si soffra a lungo senza saperlo. Gli anni erano passati. Poi era fuggita, e beninteso non era fuggita sola. “Ti ho amato molto, ma adesso sono stanca … Non sono felice, se parto; ma non si ha bisogno di essere felici per ricominciare”. Questo, pressappoco, gli aveva scritto.

Joseph Grand, a sua volta, aveva sofferto; avrebbe potuto ricominciare, come gli osservò Rieux. Ma ecco, a lui mancava la fede.

Semplicemente, pensava sempre a lei. Quel che avrebbe voluto fare, era scrivere una lettera per giustificarsi. “Ma è difficile”, diceva, “ci penso da molto tempo. Sin tanto che ci siamo amati, ci siamo intesi senza parole. Ma non ci si ama per sempre. A un dato momento, avrei dovuto trovare le parole per trattenerla, ma non ho potuto”.

pagg. 64-65

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