le torsioni dell'anaconda, letteraria
I tabù delle tribù
Dunque, anche gli scrittori, come tutti, devono saper stare sul mercato. Questa è una tetra, imbecille cialtronata. Starci per starci, sul mercato, tanto valeva mettersi a produrre panni swift, suolette di gomma, graziose ballerine, spazzoloni, tavolette da cesso, bastoni per le tende, fibre lassative, cerchi in lega, cazzi di gomma, sbattitori elettrici, sacchetti sottovuoto. Basterebbe, per rimanere nel campo dei grafomani e degli amanuensi, clonare un libro (?) di Faloccia o di qualche altro genio della cordata giusta (più che della parola scritta) e si otterrebbe l’ennesimo prodotto seriale, più inutile di una qualunque delle merci sopra elencate ma però con lo scaffale in libreria già bello che prenotato. Niente di più comodo che scrivere ciò che tutti sanno già, niente di più pratico che buttarsi nelle braccia del gusto omologato di massa, niente di più delittuoso che attentare in questo modo alle percentuali di verde “già vergognosamente basse”, niente di più cortigiano che asservirsi al mercatismo, inteso sia come blocco di interessi concreti e molto circoscritti – nel caso italiano si sa bene come questo sia il mercato degli straccioni, il capitalismo provinciale e familiare di familismo amorale –, sia come dottrina (molto ideologica) elaborata da studiosi più interessati alle sorti dell’umano simposio che al proprio tornaconto (ma quando mai?!).
Non si ricorderà mai abbastanza che la prima preoccupazione non è “venderò quello che scrivo?”, bensì “che cazzo sto dicendo? Mi appartiene o sto cedendo a qualche lusinga?”. Fatto e detto questo, chi mai schiferebbe, comunque, un eventuale successo di vendite?
Se non si scrive per dare forma inedita all’inarticolato grido di dolore con il quale ogni giorno, ogni ora e ogni minuto si rinasce alla vita – e per far questo la lingua va reinventata ogni volta –, non resta che scopiazzare gli autori sbagliati nel nome della facile parlabilità. Quando si rimprovera allo scrittore di non farsi capire abbastanza potrebbe darsi pure che lo scrittore sia un cane e faccia cattivo uso dello strumento e delle insegne di cui si fregia, ma potrebbe darsi altrettanto che gli ostacoli alla comprensione siano tutti nel ricettore che fa fatica a sbarazzarsi dei suoi stereotipi di lingua e di pensiero.
13 Apr 2011 Nicola 0 commenti