minimi sistemi

ventate di freschezza

Tutti belli nuovi e profumati da ciucciarsi, seh … come uno stracchino nel tuo piattino … ‘no stracchino già ciucciato, nel tuo piattino di merda.

minimi sistemi

la semantica del Sacco

Il Sacco della città potrebbe anche esultare oggi per un successo cattoclericale che non lo riguarda se non per la parte in cui suggella un destino (che purtroppo invece lo riguarderà da vicino) già scritto nel suo cognome. Difficile sottrarsi a questo trastullo oggi. E altrettanto difficile, oggi, non constatare la tirannia di Eros e Tanathos, oggi, una giornata da preti scafati in cifre e scienze delle costruzioni. Cioè chierici specializzati in redditizi de profundis, impegolati all’inverosimile tanto nel laterizio mortuario quanto nell’omelia paracula prestampata dal parrocchione per aiutarti a mandar giù la polpetta avvelenata. Quanto all’eros, beh … quello è tutto mio ed è difficile dare un’idea del piacere che traggo mentre mi tocco il mio cognome guardando una città sempre più fetida e brutta.

minimi sistemi

la bella politica

Si dovrebbe ormai fare la politica che non si sa, tentando su due piedi un bandolo, ritrovando un io che stabilisca un capo e una coda, un individualismo, avete capito bene!, ovviamente di segno opposto a quello in voga di ’sti tempi (il quale è, a ben vedere, millantato individualismo, peggio!, strumento della spoliazione dell’io). Bisognerebbe ripartire proprio dal dire io creo e quindi io esisto (banalizzando: prendere coscienza di non essere dei vermicioni col sondino nasogastrico somministrato a capriccio dal maschio di stato o dalla picciocca ministeriale), in aperto conflitto con i bercianti filastrocche funebri, possessori di tutto che null’altro hanno da chiedere se non mantenere quel tutto per specchiarvisi, scaricando questa pulsione di morte, in cui consiste il loro mancato volgersi al futuro, sul resto della congerie umana per continuare a meglio depauperarla di beni materiali e immateriali. Questo ci vorrebbe, un nuovo e bellissimo individualismo che conosca prima di tutto la bellezza dell’autosmascheramento fino all’utodenuncia, fatta su pubblica piazza, della propria meschinità, cioè dell’abominio che chiamiamo Uomo. Bonificarsi dalla schizofrenia tra ideologia/catechesi professata e vita vera del sangue. Provare a officiare questa specie di messa purgatoriale, facendo allo stesso tempo il ministro di io e la sua pecorella, e alla luce del sole, non all’ombra di “materni confessionali”.

Dopo, solo dopo, cominciare a masticare l’ostia: non andare a carretta dei messaggi di salvezza, non farsi vicari del mito della purezza, non ancillari ad alcun vecchio potere, non portavoce di alcuno nuovo in via di solidificazione già oggi.

letteraria

L’Angelus

Quel che seduce del Comunismo, il supervantaggio per dirla tutta, è che un giorno di questi ci smaschera l’Uomo, finalmente! Gli toglie di dosso le «scuse». Sono secoli che ce la dà a bere, lui: gli istinti, le sofferenze, le intenzioni mirifiche … Che ci fa sognare per il gusto di sognare … Impossibile sapere fino a che punto riesce a imbrogliarci, il fesso … È il mistero dei misteri. Sta sempre ben in guardia, imboscato con ogni cura, dietro il suo grande alibi. «Lo sfruttamento da parte del più forte». Una licenza in piena regola … Martire dell’aborrito sistema! Un Gesù Cristo fatto e sputato! …

«Io sono! E anche tu sei! Lui è! noi siamo sfruttati!».

Ha le ore contate, l’impostura! Finita con l’abominio! Spezza le catene, Popòl! Raddrizza la schiena, Dandin! … Non può mica durare all’infinito! Fatti vedere una buona volta! La bella cera che hai! Lasciati ammirare! Esaminare! Da cima a fondo! … Si scopra la tua poesia, ti si voglia bene come si deve e per quello che sei, finalmente! Tanto meglio, dio cristo! Tanto meglio! Prima è meglio è! i padroni, che schiattino! All’istante! Putridi rifiuti! Tutti insieme, o uno alla volta! Ma subito! Seduta stante! Illico et immediate! Neanche un secondo di pietà! Di morte atroce o soave! Me ne sbatto! Ah, non sto nella pelle! Soldi per salvarli, tutta quanta la razza, non ce n’è più! Al carnaio, sciacalli! Nella fogna! Perché stare a gingillarsi? Han mai rifiutato, loro, quelle belve! Un solo povero ostaggio a Re Profitto? Macché! Macché! Manco per il cazzo! Vi capita sott’occhio qualche posapiano? … farlo fuori subito, a fiuto! Quando ci vuole ci vuole! È la lotta! … Star lì a pensarci? L’onore? … Non sono neanche divertenti! Sono sempre più imbranati, più coglioni del vero! Per farci qualche risata, bisogna metterli a capo sotto! …

letteraria

Macchine, carcasse e carcasse di macchine

Massimina è il buco nella schiena di una statuina rubata, il tarlo di un sistema che doveva spiegare una volta per tutte, e scientificamente, genesi e palingenesi dell’esistenza; questa meravigliosa figura di donna rappresenta la falla che fa naufragare il sistema di regole che si pretende presiedano all’ordine e all’evoluzione dell’Umano. È Massimina l’inceppamento della/nella macchina. Sempre Massimina ad ingrippare l’ente motore.

Come dai congegni automatici “si ottiene un rendimento che oscilla tra un massimo ed un minimo” e “così anche in ogni concetto”, questo libro spinge avanti concetti che presentano l’oscillazione tra un massimo dell’affermazione dell’amore e dell’amicizia e un minimo della loro negazione. “Due estremi che compongono contemporaneamente il risultato e che rinviandoselo l’un l’altro lo mandano avanti”. Come dire che mandano avanti una storia e un romanzo.

L’ambiguità piena di Anteo Crocioni non consiglierebbe di tracciare ulteriori specificazioni alla materia romanzata. Nella vicenda dell’essere umano che ci racconta per dritto e per rovescio come non sappia egli stesso che cazzo ci fa sulla terra e ciò nonostante accanitamente si interessa della sorte dell’uomo, egli uomo ci smena da un lato la volontà ordinatrice che spieghi le regole dietro le quali corre l’evoluzione, dall’altro l’insensatezza/follia dilagante fuori e dentro di lui, suo malgrado. Ma oggi chi affronta queste poderose tematiche nel Romanzo?

Sarebbe fuorviante giudicare Anteo tutto positivo e magari anche martire. Volponi delinea un uomo, e un sistema con lui, fallace come gli altri, come tutta la “povera umanità incagliata”. La sua accademia per l’amicizia di qualificati popoli fa acqua in più di un punto e a maggior ragione quando sconfina nell’auspicabilità di una società comunista. È di non poco momento, infatti, il brano in cui, messo di fronte al giudice, Anteo (che fino a quel momento aveva risposto per le rime a tutti) incassa un colpo mica da ridere visto che Volponi, con astuzia di scrittore, non fornisce al suo personaggio le parole per una replica puntuale al “presidente del tribunale” che gli va rimproverando la rigidità della società comunista. Lì l’autore lascia a noi d’immaginare come Anteo in qualche misura barcolli. Quel che importa rilevare invece è che il giudice gli rimproveri proprio la società perfettamente comunista, non solo le degenerazioni partitiche impennacchiate di comunismo. Continua a leggere »

diario di un giullare timido, le torsioni dell'anaconda

Quando sento parlare di società in sonno metto mano alla bomba all’idrogeno

Verrà la guerra e sarà un sanguinaccio di poppammerda e soregegie insieme a tutti gli squarantottati e persi e alle sgallettate con
inutile scilinguagnolo. Si scanneranno peraltro mariesante rivenduglioli e gianfrulloni, e molti staranno a capa sotto. Sventreranno le casupole abiette. A vista: monconi di tubi di cesso dell’odierna società. Ad affiorare, come torme di ratte a ventaglio: quadrincatori d’elevato sentire, sudanti sangue e sgualdrinacce malvissute ormai bistorte. Un’apocalisse di crolli seppellirà vitemarie e punti corradi. E via andare … con la Storia.

altri spot, le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi

Duecento misti

Nella strada c’era gente che si chiedeva che diamine fosse quella puzza tutta nuova. Molti si lamentavano che era penetrata nelle loro case e che era davvero insopportabile. Bambini che vomitavano. Brizzolati cinquantenni già preoccupati del proprio cuore che scongiuravano eventuali crisi cardiache magari proprio a causa di questo fetore che faceva star male dal tanto che acciuffava allo stomaco. Una donna che quasi abortiva dal tanto che somatizzava. Un grassone che componeva il numero della locale compagnia dei carabinieri. E quando i carabinieri furono sul posto tutti a indicar loro da dove proveniva questo fiato sulfureo. Il bravo giornalista che giurava di aver visto i muri esterni della casa in questione trasudare liquidi fecali, no, seminali, no scusate fecali, fecali. I due carabinieri correvano nel viale, erano sul pianerottolo con le mani a mascherina sul volto e gli occhi irritati se non proprio lacrimanti. Suonavano. Niente. Suonavano e colpivano la porta. Ancora niente. Forzavano la porta e si ritrovavano coi piedi in un pantano scivoloso. Merda. Merda e silenzio. Merda e nessuno. Si lanciavano un’occhiata d’intesa: era successo altre volte di sorprendere intere famiglie in uno stato di degrado simile. Altre volte uomini e froci disperati e condannati da questo paese da incubo si erano ridotti a non uscire più di casa, abbandonandosi vieppiù e finendo con lo smerdare la casa in ogni angolo. Uno dei due carabinieri apriva una porta e scopriva una donna con uno sbuffo di capelli lunghi e grigi soltanto dietro un orecchio, come chi si fosse dimenticato di sciacquarsi via la pro-raso da quella parte, su un materasso completamente abbrunato di dissenteria. Continuando la perlustrazione entravano in un’altra camera. C’era un ragazzo gattoni che sembrava crogiolarsi nella pleplè, a guardar meglio muoveva a rana le braccia per dipartire i liquami densi e lasciare libera una porzione del pavimento sulla quale andava sistemando traversine e regolando lo scartamento tra i binari. Un carabiniere gli premeva due dita sul braccio, a scrollarlo delicatamente.

Corrado aprì gli occhi.

La radio aperta su Uomini e camion e tutto come sempre. Sempre peggio. Solo un potente puzzo di schifo composito che arrivava dalla finestra. Lo stesso che ammorbava la città.

altri spot

All Inclusive

La mattina c’è da tornare a carreggiare il bolide. Ninì si riprende che più lemme non si può.

I faticatori alle sei già lo aspettano a Matera, Altamura, Gravina, via via fino a Bari.

Fuori di casa, alle cinque di mattina è finalmente un po’ più fresco. Con bibitoni di caffè in corpo, la cacarella già evacuata in una sciolta, non rimane che recarsi alla rimessa.

Nel suo pullman sono sempre saliti ragazzi innamorati proprio andati, gli stessi che poi a sera rimontano e sui sedili ultimi si mettono a barcagliare con le fanciulle arrapati sditando su patonze appena appena date e cazzi fuori fuori sparati, strappano le tendine di tela già scolorite e si nettano la genitaglia incontinente.

Ci montano su anche signore grosse come quartare coi piedi doloranti ancora prima di cominciare la giornata; ragionieri d’accatto eleganti fino a rasentare l’insensatezza; gli scemi dei villaggi; il controllore che va per travesta e non vede l’ora di confidare al conducente come il pene abbia ormai occupato il territorio; lobbisti, accomandatari, semipotenti, marmaglia a colori di seventy nike, scaramellanti a tutta manetta, brontoloni vegliardi incazzati per chissà quale governo ladro, cinquanta e sessantenni fatti di viagra per molestare i fiorellini che segano la scuola. Ciurma in età da preghiera che oltretutto t’appesta l’aria con le buste spitterranti cavolfiori e focaccione fatte alla carlona e poi sudore copioso a vanificare ogni divieto di fumare, anzi tutti fumati, crakkati innamorati mezzoguitti ridenti cristonanti dropout musigialli tasconati descolarizzati fitusi settuagenari universitari plurisderenati dai docenti spallati e geniali che prima dell’ultimissimo esame ti dicono IN CULO! E via, lasciata la facoltà per anni per sempre per viaggiare sul crocierone di Ninì.

Gli uniposca poi, quelli son sempre saliti da soli, coi loro abbonamenti vitalizi alla società ferrotranviaria, sulle loro minuscole gambettine prendono posto e certosini intraprendono miniature e figurette di cazzi in bocca e cazzi in culo a iosa, poi tante scritte e messaggi tipo GIANNI FERRETTI III C SEI TROPPO SOMMO, U.C.N. W BARI, MARCO È SOTTOPOMPA DA NICLA, CIAO NICLA SAI CHE CI HAI UNA BELLA TECNICA RISUCCHIOSA MA PERÒ TALVOLTA MI FAI SENTIRE I DENTI BY MARCO, MERDOSO DI UN MARCO SAI CHE FAI GRATTA VIA LA MUFFA DA QUEL TUO GLANDE LORDO BY NICLA.

Senza categoria

ghiandola n. 90

Nel quartiere dove sto c’è tanta disgraziata marmaglia tra i quattro e i dodici anni che gioca, schiamazza, delinque, ricatta, bestemmia, ride, piange, sputa, impara, cade, si ferisce, non mi lascia tranquillo mai né concentrato sui libri.

Rizio, otto anni, da ieri ha un occhio bendato perché l’altro è pigro. La sua nuca, selvaggia di capelli sfoltiti troppo raramente, ondeggia tra le figure fanciulle e già racchiude pulsioni inconfessabili.

Me ne sto qui seduto su gradini lebbrosi e a scarsi metri da me Rizio sta raccontando il suo sogno di stanotte ad altri marmocchi.

Dice di essere stato messo incinto da un bambino suo compagno, Stefano, di sei anni. Ed è nata Arianna, partorita dietro un cinquecento parcheggiato qui nel cortile.

“Dice di averne fatti altri duecentociquanta”, rivela un altro, Michelino.

Rido mezzo sbalordito.

Osservo Rizio e penso che tutte le scintille negli occhi di tutta la letteratura mondiale, sono scoccate, o non saranno mai più scoccate, nell’unico suo occhio aperto, spento. Anche se azzurro.

letteraria

il teorema della manomorta invisibile

- Ma i libri che scrivi poi li vendi?

- Ma che cazzo me ne freca a me, scusa???

- Non puoi eludere questa domanda.

- Va bene, allora mi chiedi se vendo. No, io non vendo. Io compro.

- Come?

- Compro, sì, compro. Io scrivo nella carne. E compro corpi, anche guasti. Adesso: fuori dai coglioni, dài, dài, dài!!!!

« Prec. - Pross. »