diario di un giullare timido

radiazioni

Soggiorno a pianterreno, un signore sui sessanta impreca guardando fuori dalla finestra, un ragazzone sui trentacinque con indosso la divisa della Sampdoria, calzettoni e sandali sudici ai piedi, steso sul divano, un copridivano unto. La consolle della XBOX schiantata per terra, cavi che corrono sul pavimento, la nebbia nel televisore acceso.

Entra Nicola come uno a cui sia stato richiesto di accorrere in fretta.

Padre (esasperato) – Ha avuto una crisi.

Nicola – Crisi?

Padre – Ma perché Cristo non se lo chiama? Perché?!

Nicola - Non dire così adesso. (curvandosi verso il ragazzo). Giampiero? (alzandosi di scatto, verso il padre) Ma che cazzo è? Eh? Sta tutto ammaccato in faccia.

Padre – L’ho dovuto prendere a pugni in faccia, lo capisci?

Nicola – Ma non lo capisco manco per il cazzo!

Padre – Era lì da tre giorni, lo vuoi capire? Tre giorni che giocava ininterrottamente. Stamattina all’alba ha cominciato a prendersi a schiaffi. Sono andato per farlo smettere ma era diventato un toro impazzito.  Lo capisci adesso? Lo capisci che te ne devi andare a fare in culo tu e i tuoi regali del cazzo? Che non so più che diavolo vai cercando da noi?! Allora adesso ti prego di non farti vedere più. Lasciaci in pace, vattene da qua e non tornare mai più!

le torsioni dell'anaconda

si rinfreschino pure, alla “spiaggia d’autore”

In tutti i paesi la morte è un fine. Giunge e si chiudono le tende. In Spagna, no. In Spagna si aprono. Lì la gente vive tra mura fino al giorno in cui muore e viene portata fuori al sole. Un morto in Spagna è più vivo come morto che in qualsiasi altro posto al mondo: il suo profilo ferisce come il filo di un rasoio.

festa della mamma

fioretti in merda

Ora cisterna ora lucerna sono le stazioni nel mio cammino. Mi ci fermo quando s’impegna la notte a smaltire il torrido estivo. Nella casupola spersa tra gli olivi un bimbo morto; dalla finestra giunge un chiarore ed il pianto.

Cristo aiuta gli artisti.

Al risveglio campane a morto, vipere guizzanti tra le pietre. L’impietosa luce senza più contorni, dilatata dalla furia martellante delle cicale.

Ché quelli di fuora ci pensano da per loro.

Me ne torno al paese per vedere come è venuto il mantello nuovo di sant’Anna. Sotto porta Centanime, in una viuzza tutta pisciata, pestano a sangue un ritardato: la carna triste non la vòle Criste.

diario di un giullare timido

studio definanziato per la ricerca e la rifondazione delle categorie umane

Un’equipe di quattro sfigati sta cercando di capire se sono  più vicario (e allora mi sequestreranno pulpito e turibolo), più sicario (mi disarmeranno della letal penna, o feral tastiera che dir si voglia), ovveromente più gregario (mi disarcioneranno da questa scarrucolata bicicletta).

saluti ontologici a tutti e un zinzino anche de’ miei rispetti

diario di un giullare timido, minimi sistemi

Disegnetto meduneo

La musogonia modugnese volge al clamore d’un epos de’ fognoli: la sistemazione idrica cui “eroicamente” pervenne al crepuscolo del 2010 - ad onta dell’azione cospirativa di un’urbanistica pastrugnatrice guidata per anni da giove congestionatore, coi ben noti risultati di edilizia perniciosa e circolazione automobilistica demenziale alquanto. Tutto ciò mentre si locupletavano le finanze dei costruttori e la vita gli scivolava dolcemente sottoculo e senza gran livore dei soliti pezzenti elettorali. Eppure già dal pleistocene inferiore la fognatura pluviale era già bella che sistemata, con tutte le acque ben inalveate in una testimonianza dell’antiqua azione erosiva osservabile ancor oggi nelle grandi incisioni della roccia calcareo-tufacea, cioè a dire nell’evidenza di inghiottitoi, lame e canaloni. Dalla natura, in altre parole, c’era solo da imparare e non già mettersi a contraddirla regolarmente credendo di colmare le sue falle. Si è ritenuto di ingorgare la bellezza di gravine e cave nella smania di riempire ogni buco. Questa l’essenza dell’industrialesimo meridionale. Fenomeno che nello scodellamento incessante di nubi letali potrebbe essere ascritto a una singolarissima forma di dipendenza battezzabile tossicomania per conto terzi. Curioso che tutto ciò avvenga in una modugnesità di cornice perfettamente in sintonia col sedicente federalismo leghista: ragioni del territorio che involvono – non diversamente dal secessionismo padano – in provincialismo belluino, degenerano cioè in anarchismo da cortile appena contemperato da certo pianerottolismo balzellare. A guardar meglio poi tra le trippe e le medulle di cotesta cittadina si ricava come l’impressione di una spaventevole fistola in succhio dell’invidia, cosa che ovviamente macera e mantrugia anche i cervelli più fini saliti alla consiglierìa comunale, impegnati a posar la chiappa nel bel mezzo di un mercoledì sullo scranno posto alla confluenza tra Alterigia e Cupidigia, e una darsena di complotti a portata di culo (degli altri). E le consorti dai delicati lardelli, esemplari di donne di elevato sentire, a scovare presso “Tegumenti preziosi”, quei poliedri gemmanti che consentano loro l’esibizione di un più squisito sentire, per defungere a sera con la capa persa nella museale scrittura di “Nuovi Tegumenti”, credendo di rifulgere così pure anche nei propri breloques intellettivi, mentre nell’altra stanza badanti ucraine restano impegnate a spolverare la santità dei lari domestici e restituire splendore al tabù dei deretani più decrepiti e immerdati.

diario di un giullare timido

Zuppa ‘sti cazzi

Non si pensi che la costa barese faccia schifo (solo) per l’intrefolarsi bel bello di fiotti di merda nel mare. La costa barese fa schifo per la ben nota millanteria di residence e proprietà private.

Svincolati dalla 16-bis sulla litoranea Santo Spirito - Giovinazzo è tutto un cointeressare il mito al successo di un comparto balneario che è per lo più putridume, un succedersi farneticante di Residence Andromeda e Lo scoglio di Euridice. Mai ’sti cazzi avrebbe certificato meglio la realtà.

Meno male che sullo scoglio cui addivenni ci stava uno che pescava da riva, tra nereidi che te le raccomando spampanate su una maledizione di spiaggine fucsia, obesi di ogni età, lenzuolate di moscerini a ingarzare le nudità, ameni coleotteri sfrigolanti in certe voragini di ferite da arma da fuoco e punte perotti tatuate a tutto corpo. Il pescatore serafico volgendosi a me declamava: “Oggi levante. Il pescatore torna vacante”. Posava la canna sulla roccia per riprendere a lavorare un impasto cerealicolo per l’esca e, richiesto dal sottoscritto di precisare i venti più favorevoli esemplava che ieri, col piccolo maestrale, aveva fatto un chilo e mezzo tra vope, cefalotti e una spigola da 600 gr.

altri spot, letteraria

L’innestatore

Ho idea che Cormac McCarthy si sia come ingaggiato a immaginare la vita di Tom Joad dopo che questi ha abbondonato la sua famiglia in California. Ho idea che abbia preso quest’uomo, lo abbia ribattezzato Cornelius Suttree e calato nel 1951 a Knoxville, Tennessee.

Nel romanzo di Steinbeck ci sono dei frammenti che giuntano il testo paragonabili a delle odi corali, benché prive di strofe e antistrofe, dalle quali scaturisce vento epico che soffia su tutta l’odissea dei Joad, della Famiglia. Ho idea che McCarthy invece abbia riconsiderato questi perni che rammendano la “notte” dei Joad nella loro lunga traversata verso la sconfitta, e li abbia fusi facendoli colare e rapprendere come oro lirico sulle figure del suo teatro d’ombre.

Allo stesso modo il grande romanzo americano transita da una tradizione “socialista” in cui si rappresentano le vicende, diremo collettive, dei più deboli in lotta per la sopravvivenza e contro nemici sempre più grandi e imbattibili, alle sacrosante pippe individuali del singolo irredento, inassolto, malvissuto e poeta.

Con tutto questo c’entra qualcosa il dire che Victor Hugo ed Émile Zola (il mistero della fruttificazione del seme avvicina Germinal e Steinbeck in un modo a mio parere evidentissimo) sono meglio di Marx e Lenin? E a suffragare questa considerazione può servire la ricchezza di sfumature proprio in The Grapes of Wrath, dove convivono un Casy predicatore che spretandosi diventa il più comunista di tutti, e una voce molto più cosciente di quella di un banale sindacalista, che non smette di parlarci dell’ostinazione a vivere e di quella costante dell’uomo che è il perenne suo sussulto di vitalità, quantunque egli sbagli, inciampi e retroceda di “un mezzo passo, mai di un passo intero”, concludendo che in quel passo così faticoso risiede il progresso dell’umanità?

Mi sa che si deve passare di qui, da questi libri, per vedere dove si formano per la prima volta le immagini che, imprimendosi definitivamente nella percezione di ciò che è America, diverranno topiche: scassoni su strade liquefatte dal caldo, uomini accoccolati sui talloni che tracciano segni nella polvere con un fuscello, sgualdrine, puttane, mestatori, grassatori di strada, “delitti che trascendono ogni denuncia”, zotici, trincatori e quadrincatori, derelitti e ratti e negri e galeotti. Si può anche passare per un film di John Ford che una grande fotografia di un espressionistico bianco e nero fa aderire bene al Furore che si legge, film a cui, però, non potrò mai perdonare la mutilazione dell’ultima grandiosa immagine del libro. Avranno anche avuto problemi di censura, o di varia natura, durante la realizzazione della pellicola, ma non si può soprassedere su una scena così potente e straziante, fondamentale nel racchiudere tutto il senso di quanto si è scritto, senza svuotare di significato il solo aver pensato di poter tirare via un film da cotanto romanzo.

diario di un giullare timido

buonuomo

di certe cartule mal rogate in ille terre da un buon diavolo nonché prete

altri spot, letteraria

La gara dei rutti

L’impostura è tutta nel credere che lo scompaginamento del discorso artistico portato con la civiltà delle immagini (cioè dall’avvento del cinematografo) sia l’imposizione e la supina accettazione della solita messa in quadro. E invece no, si deve intendere la civiltà di una pluralità di immagini e non di poche varianti di quell’unica e sola che esautora la parola e il pensiero elaborante che la presiede, che alimenta vite vissute per delega, e se proprio ci deve essere qualche mal di pancia, qualche riflusso, che si faccia allora in modo che sia al massimo grugnito e sghignazzo.

Invece sono convinto che il cinema e, andando a ritroso, la fotografia e le arti figurative tutte, non solo non siano colpevoli dell’immiserimento espressivo, cosa che il delinquenziale equivoco della “società delle immagini” indurrebbe a credere, ma che lo rifiutino proprio “politicamente”.

letteraria

Parlo a vanvera dunque scrivo

Qua succede che si è talmente capovolta la faccenda che non tiene più neanche l’alibi dei temi complessi che devono passare necessariamente per figurazioni semplici e di facile lettura. Perseguendo ossessa il mito dell’immediata comprensione, l’odierna narrativa italiana, e tutto il sistema che la regge, corre il pericolo di degradarsi a pura innografia e quindi, fatalmente, a canto liturgico che necessita appena di un officiante, due chierichetti e magari un coretto tuseilamiavitaaltroiononho. Invece la struttura agile ce la si deve meritare, come Nietzsche si meritò la pazzia, sennò come fai a criticare la cazzata del “serve un PD più sexy“? Che altro doveva essere questo partito se non appunto una struttura agile? E non è diventato un pasticcino avvelenato questa storia delle categorie sexy spalmate su ogni forma di espressione dell’uomo di cittadinanza italiana a mascherare la mediocrità, la desolazione? A furia di sensualizzare il nulla poi non ci si dovrebbe sorprendere più di tanto se a quel ragazzo che ti faceva così sesso poi non gli si arma la verga. E tu, che eri convinto di sentire addosso a lei il profumo della fica? Te ne tiri uno a mano visto che l’hai trovata seccata come neanche dopo prolungata esposizione a vento di favonio. Perché se non sei Céline non puoi sciacquarti la bocca con la scrittura che riproduce il parlato quotidiano. E dei tanti nuovi Céline se ne son salutate di nascite ma poi ci si è dimenticati di pubblicarne il certificato di morte.

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