le torsioni dell'anaconda, letteraria

relazioni metamorfiche

Per il solo fatto che mette in musica la versione di Hölderlin, l’Antigonae di Carl Orff del 1949 si inserisce senza dubbio tra le metamorfosi filosofiche , poetiche e politiche del motivo di Antigone nella storia e nella sensibilità tedesca. È collegata alle interpretazioni hegeliane, ai dibattiti ispirati da Hegel e Hölderlin e alle teorie di Nietzsche sulla tragedia […] Il lavoro di Orff ha suscitato un disagio psicologico-critico. Molti lo hanno trovato seducentemente brutale. Altri solo brutale. Nell’Antigonae, coro e corifeo hanno un peso monumentale. Il loro modo di esprimersi è, come in tutto il resto della partitura, bruscamente sincopato, percussivo, testualmente articolato sino a rappresentare lo Sprechgesang. Mentre Honegger orchestra in modo tradizionale, il timbro e la struttura dell’orchestra di Orff puntano a degli effetti «neo-ritualistici» ed «etnografici». Le batterie di pianoforti segnano il ritmo dominante. Gli xilofoni, le marimbe, i tamburi di pietra, i carillon, i tamburelli, le nacchere, i gong di Giava, un’incudine, una congerie di tamburi africani, i cimbali turchi danno ai discorsi e alle odi corali un tono martellante, febbrile, ma anche piattamente metallico, quasi traslucido. Sono i vecchi patrizi di Tebe, tremanti, capziosi, eppure solenni e talvolta ispirati, come Sofocle può averli visti declamare, cantare e danzare. Secondo me ci sono episodi dell’Antigonae di Orff che riescono a rievocare l’effetto della tragedia meglio di ogni altra variante o imitazione.

George Steiner, Le Antigoni

le torsioni dell'anaconda, letteraria, minimi sistemi

le intrusioni sensoriali dei morti

a voler tradurre la realtà “contro” le versioni mediatiche devo ammettere, visto il mio momento hegeliano, che il riformismo ottusamente perseguito dal partito democratico, con pertinacia solo apparentemente contraddittoria rispetto alla comune percezione di un soggetto politico amorfo e privo di identità e paralizzato da reticenze e assordanti silenzi, è il frutto più gustoso della politica italiana. il piddì, lui sì, nelle sue varie espressioni e nella storicizzazione dei modi assunti di volta in volta, una stagione politica dopo l’altra, è coerente come solo il personaggio di una tragedia può essere. e pazienza se, inscritto in un destino a cui non ci si può sottrarre, corre a rompicollo verso la sua estinzione. certi flippati e sciroccati di cervello, che dialetticamente agiscono dentro e fuori la creatura veltroniana, ne condividono la medesima sorte.

non può non essere così.

sono serio come serio se non addirittura sacro considero il motivo dell’amorevole cura per i morti.

altri spot, diario di un giullare timido

feria di marzo /3

In alcunché nutre fiducia Tornatore, invece, se non in un tono epico con che smaltare tutto un sontuoso affresco, sontuoso ovvero esteticamente ineccepibile, epperò poi basta. Baarìa niente altro è che una storia, la Storia di buona parte del novecento in Sicilia, sbobinata un po’ troppo di prescia. L’eleganza del tocco non basta a renderlo un film interessante, un film che corre troppo senza affondare un colpo, neanche uno squarcio o uno spacco nella Realtà e nella Storia, col risultato di far rotolare via un’epoca mentre lo spettatore anfanando di rincalzo dapprima la tallona ma poi, non traendone letture stimolanti quandoché agonistiche – ad onta del magma e delle miniere e delle estrusioni violente di cui è pieno al di là dello Stretto - la lascia andare in fuga su un tracciato sbagliato, indi rallenta, s’arresta, si ristora e s’appapela pure, lo spettatore intendo. Vista la carrellata di volti noti della recitazione del belpaese, tutti in circoscrittissimi camei, allo stesso modo irrispettoso, oscenamente compendiato, è trattato il XX secolo: ridotto a fugace apparizione. Uno dice: il film è proprio questo, tanto movimento e velocità per raccontare, in definitiva, la stasi e la fissità come le tare peggiori nella storia dell’isola. Non lo so, forse. Ma, hai voglia di riscriverlo, Peppino, mi pare che un nuovo Nuovo Cinema Paradiso non ti viene più. Se ti mantieni sul terreno della Sconosciuta (con la molto innamorabile Rappoport) fai la meglia cosa.

Dentro a quella mia personale settimana santa vidi pure, e rigorosamente a cazzo, Basta che funzioni (funzionante in ogni sua parte); Il fascino discreto della borghesia che, se Baarìa non rompe un bel niente fino a sfiorare il tritume conservatorista, beh questo rompe troppo per i miei gusti, mi allontana dal surrealismo e mi persuade a pratiche irriguardose verso esercizi troppo confinati nella loro corrente/etichetta; un John Ford cimentatosi nella riduzione di Furore, di cui parlerò un’altra volta, se mi andrà.

letteraria, minimi sistemi

desiderata platea

Approdo di demenza della nave dell’amore in un disegnetto brianzolo-italiano:

“La prossimità nonché il commercio delle genti e’ son grandemente appetiti dai vanitosi e da tutti quelli cui natura ha devoluto un temperamento narcissico: (indebitamente ritenuti sociali e lodati come tali). Della società non gliene importa un cacchio: e vi si destreggiano secondo la brama e la tecnica centripeta del più puro egoismo. Ma vogliono gli altri, li vogliono vicini e fisicamente presenti: e di una cotal presenza godono, godono: perocché la straripante carica erotica del loro narcisismo ovvero auto-erotismo ella necessita di una adeguata parete di rimbalzo cioè superficie di riflessione: di uno specchio grande, in poche parole. Gli umani funzionano per loro da specchio psichico: e, se essi talora li amano, soltanto li amano in quanto specchio lusingatore. Salotti, alberghi, piroscafi, e monti e spiagge balnearie e marciapiedi dell’avenida e caffè ne vanno in rigurgito di cotestoro: e dovunque ne incontri.

Il meccanismo autoerotico allogasi, qual più qual meno, in tutte le anime: nelle più ritenute  e modeste, nonché nelle ciarliere ed ingenue: come quelle del garzone del parrucchiere andaluso, venuto e trasmigrato dalle lontane sierre verso la sua straordinaria speranza.

altri spot, diario di un giullare timido

feria di marzo /2

il conflitto-motore delle Mine Vaganti, o checche gnaolanti, racchiudible in un diorama presieduto da giove inculatore, è anche e soprattutto bassezza drammaturgica: quel che dovrebbe conferire robustezza alla storia è un infantile gioco sulla quantità degli outing che la società ovvero la meridional famiglia ottusa deve sforzarsi di accettare, il che stabilisce un preoccupante precedente: a furia di progressioni numeriche Ozpetek può arrivare a giustificare - debolmente - le proprie narrazioni facendo agevole ricorso a un subisso di ricchioni, a petto di un patto sociale sempre più retrocesso e degradato. se abbiamo visto Scorsese e Capotondi votarsi alla cieca fiducia nella scrittura, vediamo qui un regista che giustamente (vista l’inconsistenza drammaturgica) prega per la bravura di Fantastichini e Scamarcio, e si arrangia più o meno bene a dirigerli. Il patriarca Ennio viene, infatti, via via erigendo una cattedrale alla propria recitazione mentreché il giovin Riccardo prosegue nella costruzione di un grande avvenire suo, nel quale lo prevedo e azzardo novello Gian Maria Volonté.

altri spot, diario di un giullare timido

feria di marzo /1

sono reduce da una settimana di ferie che avevo deciso di dedicare totalmente al cinema, da una domenica all’altra, fruito in sala e da casa. ricreatomi il buio amniotico in casa direi che La doppia ora, visto nella notte del mercoledì, si lascia accomunare allo Shutter Island goduto la domenica prima al cinematografo (a ‘mo di inaugurazione della mia personale settimana santa) dalla fiducia che i loro autori devono nutrire nella scrittura. questa soccorre, ribalta e risolve il senso delle pellicole senza troppi riguardi per gli interscambiabili attori. più interscambiabili, a onor del vero, in quest’ultimo Scorsese che nell’esordio di Capotondi, nel quale Filippo Timi finisce per diventare un caro corpo e intenerente assai in quel suo profilarsi in areoporto mentre Ksenia Rappoport convola a ingiuste nozze imbarcandosi per Bueno Aires. Molto gotici tutti e due i film, ad unirli è quella poderosa, inarrestabile, implacabile macchina divoratrice e annientatrice di uomini che può essere la mente. gran parte delle vicende narrate si svolge tutta chiusa dentro la mente dei due rispettivi protagonisti, e la si crede vera fintantoché l’autore non ritiene giunto il momento di aprire la storia anche al punto di vista di qualche altro suo personaggio. su tutti eraserhead, la mente che cancella o che vorrebbe e non riesce a cancellare, la mente umana che non si riazzera mai ma che tuttalpiù, ove mai la si forzi a resettarsi, può solo essere riassalita, e questa volta molto più caoticamente e pericolosamente, dai traumi del passato.

anche se questo non è interessante comunico che Ksenia Rappoport è decisamente molto innamorabile. a me non capitava di innamorarmi degli ologrammi dello spettacolo dai tempi di Heather Parisi a Fantastico.

le torsioni dell'anaconda

i miei film in candido e nero

nonostante le date addietro nel tempo, magari da poco erano stati lasciati andare in pace e poi arrivo io, tomo tomo e costernato della sconcia italia,  e mi metto a sfrucugliare n’altra volta nello strapassato e tra le anime di questi loperfidi e criscuoli poveretti.

“E proprio durante una di queste messe, a Candido avvenne di scoprire, un pensiero dietro l’altro, che la morte è terribile non per il non esserci più, ma al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano: così come suo padre nei ricordi, nei pensieri e nei sentimenti di Concetta. Doveva essere una fatica per il morto, aggirarsi ancora in quello che i vivi ricordavano, sentivano e pensavano; e persino in quello che sognavano. Nella immaginazione di Candido, era come una specie di violento richiamo, un fischio cui corrispondeva una corsa, un bolso e ansante arrivare. Quella che Concetta chiamava l’altra vita, era propriamente una vita da cani.”

le torsioni dell'anaconda

inconsolabili spire

per questo lato che la strada divide piazza garibaldi da certi palazzotti fine ottocento  affaccia il mio talamo di balconcino alla romana oculodotato, per la vitrea sorveglianza su uomini mai stanchi di ragionarsi la vita e mai paghi di spiegarsi la geografia l’un l’altro, davanti al bar d’angolo che sorge su uno dei vertici della piazza garibaldi o villa comunale. e non tanto caro il sipario, d’orrida geometria, di pitosfori e oleandri che da cotanto anfiteatro (a petto del buon vecchio cisternone) il guardo esclude. e gli uomini immobili mai li diresti comunque ingaggiati nelle selezioni per certe gare finali, discplina olimpica “chi è più dritto campa la casa”.

da questo lato della piazza che corre sotto i balconcini alla romana, e il mio tra quei, si susseguon l’ubi banca carime, isabel pasticceria rosticceria, ultima calzature melluso, il sali e tabacchi, uno studio tecnico di progettazione edile, l’autoscuola appia, piante e fiori la villetta, milan club fedelissimi. ivi termina piazza garibaldi e s’incomincia via bitonto salutati dalla statuetta di una madonna con bambino conservata in un’aggettante edicola votiva, dal muro dell’edificio sulla destra. la vergine col calcagno fieramente premuto su una bomba mollata sopra modugno durante l’incursione aerea del 16/7/43. via bitonto conduce fuori città, oltre la ferrovia, al camposanto.

meh, tutto questo ambaradan solo per riportare due qualche epigrafe cimiteriale.

guardate la protervia mai doma del saccente

FORTUNATO LOPERFIDO

PADRE ESEMPLARE CITTADINO LABORIOSO

CHIUSE LA VITA TERRENA ADDITANDO LA VIA DELLA VIRTù

ALLA MOGLIE ED AI FIGLI INCONSOLABILI

10-10-79            19-11-46

commuovetevi dinanzi a questa abnegazione esplorativa infrantasi contro l’impotenza gnoseologica:

QUI RIPOSANO I RESTI DELLO STUDENTE

SIGISMONDO CRISCUOLO

CHE UN DESTINO CRUDELE E INESORABILE SPINSE

A CERCARE NELLA MORTE IL MISTERO DELLA VITA

SOTTO LA QUERCIA DEL TASSO

11-2-26 MODUGNO

10-11-47 ROMA

le torsioni dell'anaconda

the grapes of wrath

Se facciamo come vuole la legge, vengono a prendere il cadavere. Ci restano solo centocinquanta dollari. Se ce ne prendono quaranta per seppellire il nonno, non ce la facciamo ad arrivare in California… Altrimenti lo ficcano sotto terra come un pezzente.

John Steinbeck, Furore

diario di un giullare timido

oggi si posta così, fuoco e luce e vento

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