Lo scrivere mio è cimentarsi con le aspirazioni sballate di un’epoca. Interrogare - a vuoto - il vuoto da capogiro che si è creato dopo che gli uomini hanno distorto radicalmente tutti i miti fino a squinternarli del tutto, fino alla loro scomparsa. Grandi narrazioni, ed esemplari, prima pervertite, poi buttate via perché ci si è accorti che per come erano ridotte non si sapeva più cosa farsene. Delle quali non si è serbato niente. Neanche una minuscola traccia. Tutto dimenticato a beneficio esclusivo dell’horror vacui. Un po’ quello che è avvenuto in politica con la consunzione delle grandi ideologie, dipinte da certi soloni come grandi narrazioni. Per l’appunto. Ma pure grandi tagliole.
Tralascio qui il discorso politico e mi attesto più su letteratura e cinema perché ritengo che, come sempre accade, solo queste riescano a segnalare i tratti più allarmanti, anzi angosciosi, del tempo presente che anche il sottoscritto (su scartoffie chissà mai da pubblicare) si sforza di raccontare.
L’impoverimento espressivo dilagante o la generale volgarità dei comportamenti umani, in fondo sono il meno. Pura manifestazione esteriore della violenza bestiale che c’è sotto e che percuote incessantemente il sistema di regole che pretendeva di tacitarla. Di più, i nuovi sistemi di regole sono concepiti per scoperchiare del tutto questa forza animalesca e ancestrale, ideati e orchestrati da soggetti emersi d’impeto prima ma ormai tutt’uno con essa. Quello che lotta per prevalere sulla civiltà non è il grado zero dell’umanità. Ma il Meno di zero di Bret Easton Ellis.
La violenza che sbocca è autistica. Come quella del cacciatore di taglie in Dead Man, di Jim Jarmusch. Di questi si favoleggia che abbia stuprato il padre e la madre e che poi ne abbia mangiato i corpi. Per tre quarti della pellicola pare una stramberia che non merita neanche tanto credito ma in due scioccanti punti del film il bandito si rivela tal quale lo aveva dipinto questa specie di leggenda massacrando i suoi compagni d’arme. O ancora lo psicopatico di Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy. La sua furia assassina non ha una ragione e non può essere spiegata. Solo il culo di non incontrarlo sulla tua strada ti può salvare.
Nella valle di Elah un veterano del Vietnam, così somigliante allo sceriffo di McCarthy, deve andare ben oltre la riflessione sugli orrori della guerra. Le diverse declinazioni sulla gratuità del male, variazioni contemporanee sulla banalità cui spesso si accompagna, fanno letteralmente a pezzi l’anima di un padre e dello spettatore. Paul Haggis, sceneggiatore sommo, è il ponte che ci conduce a Clint Eastwood (sono stati collaboratori in Million Dollar Baby) e al suo Gran Torino. Quale brivido insostenibile genera la scena in cui la ragazza rientra tumefatta, massacrata di botte da una banda di bulli del quartiere popolato da immigrati asiatici. Eppure McCarthy, Haggis e Eastwood fin qui possono ancora far sentire la loro fievole voce e ricordare come un tempo, forse, poteva essere diverso. Etica, onore e rispetto, orgoglio. Un senso, in definitiva.
E invece insensato e ottuso è Brad Pitt nella prosecuzione naturale della trasposizione cinematografica di Non è un paese per vecchi: Burn After Reading. L’icona ebete dell’opera è anche la perfetta sintesi del perfetto coglione, senza passato e senza futuro, un presente ristrettissimo, che prolifera nell’odierna società. Anche questo film è pervaso di violenza, e appresso a questa corre, abbracciata mortalmente, la scemenza.
Se un tempo i film horror lasciavano senza fiato oggi i film noir lasciano senza parole. Mappano esistenze già prive di linguaggio o di qualsivoglia codice comunicativo . Esistenze che rispondono raramente agli stimoli, ma soprattutto imprevedibilmente e violentemente.
Si può desiderare la morte di qualcuno che non è un tiranno o un sadico padrone delle nostre vite ma solo un ostacolo, peraltro rimuovibile con minimo sforzo, al perseguimento del nostro scopo. E non avere percezione dell’abiezione di un tale sentimento.
Si vive disorientati in un ambiente interamente disturbato. Si può smembrare un uomo con un trinciapollo e essere soddisfatti di un lavoro pulito.
The Wrestler non poteva che essere Mickey Rourke. Non poteva che essere lui il protagonista del gran guignol allestito da sua maestà la violenza. La quale adesso si permette il lusso di autoinscenarsi. E sghignazzare sfavillante mentre si gode l’effetto che fa.
Le potenze buie della reazione.
Qua non siamo in presenza di figli frutto del loro tempo. Qua siamo dentro un Tempo che divora i propri figli. Non gli dèi che accecano coloro che vogliono perdere. Ma dèi accecati che accecano e perdono indiscriminatamente chiunque gli capiti a tiro.