diario di un giullare timido, minimi sistemi

Noi tutti stammo

noi tutti stammo in pericolo di vita a modugno
bisogna stare attenti io mi preocupo assai i
sto in pericolo tutti sanno in pericolo non
andate in giro nelle campagne di modugno e
pericolo anonimo

letteraria

La perla scaramazza


Senza categoria

In difesa di Roman Polanski

Un tale me lo diceva:

NICò, DOPO LA PRIMA MESTRUAZIONE E’ GUERRA!

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Dentro le mie mani l’inquilino

Da mesi rovisto tra libri e cinema quasi esclusivamente a scopo di ricerca. Voglio dire, non prorpio per il piacere di farlo. Il lavoro cui mi sono dedicato da un anno a questa parte volge al termine ma non smetto di farmi suggerire suggestioni e soluzioni. Sì, perché ci sono sempre momenti, durante questo lavoro, in cui ci si arena, ci si ritrova un po’ scorati in una strada apparentemente senza uscita. Le provi tutte, cambi direzione mille volte, ma tutto quello che escogiti ‘non funziona’, ‘non regge’, o è ‘fuori tono’. Allora può essere importante andare a vedere come altri, in situazioni analoghe, se la siano cavata. Come hanno risolto questi momenti critici. Questo presuppone un gran dispendio di tempo ed energie perché quello che cerchi, a meno di non avere una gran botta di culo, non arriva subito. Devi prenderne di abbagli: sbagliare le letture (tipo Corpus Christine di Max Monnehay) e assopirti davanti ai film (come davanti a Brazil di Terry Gillian). Ma poi t’imbatti in Dentro le mie mani le tue di Marosia Castaldi (722 p., Feltrinelli) e ne L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski e ti ritrovi a considerare che questo lavoro in realtà ti sta facendo impazzire dal piacere; la fatica è ripagata. Per quanto si tratti di un libro di dolore senza speranza nel primo caso, e del film più di terrore che abbia mai visto nell’altro.

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Laboratorio di scrittore

A prendere vita in queste pagine di Fattacci (di Vicenzo Cerami) sono i lugubri conducenti di una vettura vocata allo schianto. Ex pugili, canari, nani, plebei, marchesi e bon vivants che covano “una sperimentata vocazione al disfacimento”. Entrare per caso nel loro raggio d’azione è una sciagura terribile, significa varcare i cancelli di una depravazione che, consumate tutte le sue estreme esperienze, non ha niente altro da offrire, al finale, se non tragedia. Vite intrecciate da legami tanto fragili quanto totalizzanti per la loro natura morbosa quando non sadomasochistica. I soggetti terzi che intervengono a rompere questi delicati equilibri, questi ordini ipocriti e degeneri, altro non fanno che imboccare, senza saperlo, una via buia alla fine della quale vi è invariabilmente morte.

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minimi sistemi

Quando uno è capacchione

Bisognerebbe applaudire fino a spellarsi le mani ogni volta che Daniele Capezzone si sia cimentato nelle sue dichiarazioni, approvare la sua assertività, encomiarne la grande professionalità. Solo così può essere spiegato l’uomo: estrema professionalità. È stato chiamato a svolgere il ruolo di portavoce del Popolo della Libertà. E lui quello fa. Con grande preparazione, serietà e impegno.

Avercene.

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Violence

Lo scrivere mio è cimentarsi con le aspirazioni sballate di un’epoca. Interrogare - a vuoto - il vuoto da capogiro che si è creato dopo che gli uomini hanno distorto radicalmente tutti i miti fino a squinternarli del tutto, fino alla loro scomparsa. Grandi narrazioni, ed esemplari, prima pervertite, poi buttate via perché ci si è accorti che per come erano ridotte non si sapeva più cosa farsene. Delle quali non si è serbato niente. Neanche una minuscola traccia. Tutto dimenticato a beneficio esclusivo dell’horror vacui. Un po’ quello che è avvenuto in politica con la consunzione delle grandi ideologie, dipinte da certi soloni come grandi narrazioni. Per l’appunto. Ma pure grandi tagliole.

Tralascio qui il discorso politico e mi attesto più su letteratura e cinema perché ritengo che, come sempre accade, solo queste riescano a segnalare i tratti più allarmanti, anzi angosciosi, del tempo presente che anche il sottoscritto (su scartoffie chissà mai da pubblicare) si sforza di raccontare.

L’impoverimento espressivo dilagante o la generale volgarità dei comportamenti umani, in fondo sono il meno. Pura manifestazione esteriore della violenza bestiale che c’è sotto e che percuote incessantemente il sistema di regole che pretendeva di tacitarla. Di più, i nuovi sistemi di regole sono concepiti per scoperchiare del tutto questa forza animalesca e ancestrale, ideati e orchestrati da soggetti emersi d’impeto prima ma ormai tutt’uno con essa. Quello che lotta per prevalere sulla civiltà non è il grado zero dell’umanità. Ma il Meno di zero di Bret Easton Ellis.

La violenza che sbocca è autistica. Come quella del cacciatore di taglie in Dead Man, di Jim Jarmusch. Di questi si favoleggia che abbia stuprato il padre e la madre e che poi ne abbia mangiato i corpi. Per tre quarti della pellicola pare una stramberia che non merita neanche tanto credito ma in due scioccanti punti del film il bandito si rivela tal quale lo aveva dipinto questa specie di leggenda massacrando i suoi compagni d’arme. O ancora lo psicopatico di Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy. La sua furia assassina non ha una ragione e non può essere spiegata. Solo il culo di non incontrarlo sulla tua strada ti può salvare.

Nella valle di Elah un veterano del Vietnam, così somigliante allo sceriffo di McCarthy, deve andare ben oltre la riflessione sugli orrori della guerra. Le diverse declinazioni sulla gratuità del male, variazioni contemporanee sulla banalità cui spesso si accompagna, fanno letteralmente a pezzi l’anima di un padre e dello spettatore. Paul Haggis, sceneggiatore sommo, è il ponte che ci conduce a Clint Eastwood (sono stati collaboratori in Million Dollar Baby) e al suo Gran Torino. Quale brivido insostenibile genera la scena in cui la ragazza rientra tumefatta, massacrata di botte da una banda di bulli del quartiere popolato da immigrati asiatici. Eppure McCarthy, Haggis e Eastwood fin qui possono ancora far sentire la loro fievole voce e ricordare come un tempo, forse, poteva essere diverso. Etica, onore e rispetto, orgoglio. Un senso, in definitiva.

E invece insensato e ottuso è Brad Pitt nella prosecuzione naturale della trasposizione cinematografica di Non è un paese per vecchi: Burn After Reading. L’icona ebete dell’opera è anche la perfetta sintesi del perfetto coglione, senza passato e senza futuro, un presente ristrettissimo, che prolifera nell’odierna società. Anche questo film è pervaso di violenza, e appresso a questa corre, abbracciata mortalmente, la scemenza.

Se un tempo i film horror lasciavano senza fiato oggi i film noir lasciano senza parole. Mappano esistenze già prive di linguaggio o di qualsivoglia codice comunicativo . Esistenze che rispondono raramente agli stimoli, ma soprattutto imprevedibilmente e violentemente.

Si può desiderare la morte di qualcuno che non è un tiranno o un sadico padrone delle nostre vite ma solo un ostacolo, peraltro rimuovibile con minimo sforzo, al perseguimento del nostro scopo. E non avere percezione dell’abiezione di un tale sentimento.

Si vive disorientati in un ambiente interamente disturbato. Si può smembrare un uomo con un trinciapollo e essere soddisfatti di un lavoro pulito.

The Wrestler non poteva che essere Mickey Rourke. Non poteva che essere lui il protagonista del gran guignol allestito da sua maestà la violenza. La quale adesso si permette il lusso di autoinscenarsi. E sghignazzare sfavillante mentre si gode l’effetto che fa.

Le potenze buie della reazione.

Qua non siamo in presenza di figli frutto del loro tempo. Qua siamo dentro un Tempo che divora i propri figli. Non gli dèi che accecano coloro che vogliono perdere. Ma dèi accecati che accecano e perdono indiscriminatamente chiunque gli capiti a tiro.

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nonostante tutto

quel che si dice sul nostro presidente messo in mezzo

 nel torello

 dei giornali

 nel tornello

 d’avanzo

che nol vuole più al comando

io dico

di colui che è al timone

non è un ganzo

ma semmai

con rispetto parlando

 BERLUSCONI E’ UN RICCHIONE!

diario di un giullare timido

Io sto bene, come no. Ho mangiato dei panini …

L’altra notte non potevo dormire perché uno è arrivato di gran carriera per comprare sigarette al distributore automatico sotto casa. È atterrato col suo bolide sotto la finestra della mia camera da letto che erano le due di notte, ne è sceso lasciando il motorone acceso, pazzamente rimbombante in folle, freno a mano tirato, ed è andato a litigare col vomitapagliette che non gli accettava la banconota. Fino a qui nulla di grave. Ci si fa l’abitudine anche se stai combattendo contro l’insonnia da parto dell’anaconda. Quello che proprio mi ha mandato ai matti è che il tizio aveva lasciato l’autoradio accesa con tutta l’artiglieria di fuoco che lavorava pesantissimamente e la portiera aperta a maggior sfregio. E se il distributore non si decideva a vomitare l’abitacolo invece vomitava. Per dio se vomitava. Eccovi cosa:

 

Spaparacchiato sul lettone (magari di Putin) ho aspettato e aspettato ma la musica continuava. Allora gli ho urlato due morti come uno zoticone imbestiato. Però la mattina dopo mi veniva da ridere e forse pure da piangere, anzi più da piangere, ma per davvero, a pensare a ’sto scombinato che aveva deciso di ostentare la sua anima straziata ricorrendo a un brano del genere.

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Contro l’omertà. Fuori i nomi

Davanti a Ciciuariedde della frutta ci stava un gran quaquigghio di fioroni e anguria schiattati per terra. Vituccio Cevolelova, oltrepassato ‘u Tremuande, spuntò da sotto l’arco e, temendo scivoloni, acchemenzaje a gredaje appresso a Ciuciariedde: “Uagliò, ma ce sta a chembine?!! Ma vuè staje chiù attente??!!”. “Vetucce” rispose il fruttivendolo, “allassame perde. Ca ce non se sporche non se pelenze.”

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