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CARI FOTTUTISSIMI COLLEGHI

VIGLIACCONI, MA PERCHE’ NON SIETE INTERVENUTI SULLA QUESTIONE DOMENICHE APERTE?!

DIAMINE, MI HA RISPOSTO SOLO CAPOCCIONE! MICA VI SI CHIEDE DI FARE LO SCIOPERO, DI FARE GLI INCENDIARII, DI, NONSIAMAI, ”SPUTARE NEL PIATTO IN CUI MANGIATE”.

VI SI CHIEDE SOLO UN CONTRIBUTO DI IDEE! Nel post precedente c’è solo una richiesta di informazioni aggiuntive rispetto a quel che ne so io, una preghiera di chiarimento rivolta umilmente da me a voi. E voi invece: un cazzo! Debbo constatare che non è stato possibile avere con voi né un approfondimento di conoscenza né un semplicissimo scambio di opinioni che, tra l’altro, non aveva come obiettivo polemiche gratuite o volgari contro chicchesia.

Bene, ditemi voi di che si tratta: spontanea indifferenza? deliberata indifferenza? paura o, peggio, omertà? Su su, lavoratori, anzi mezzi lavoratori (dato il part-time che indossiamo come un vestito logoro e piccolo di taglia).  O devo aggiungere anche mezzi uomini e omminicchi

Vi riporto un stralcio della Legge Regionale. Vediamo che spunto siete capaci di prenderne.

Nei comuni a economia prevalentemente turistica o nelle città d’arte, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e chiusura e possono derogare dall’obbligo della chiusura festiva e domenicale nelle domeniche e festività comprese nel periodo maggio-settembre. Il calendario delle domeniche e festività nelle quali è consentito derogare all’obbligo di chiusura viene definito dal comune.

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mai dire auscian

Cari colleghi        

qualcuno di voi è in grado di dirmi per quale motivo l’ipermercato Auchan, sito in Modugno, debba restare aperto tutte le domeniche di Agosto e Settembre?

Qualcuno è in grado di dirmi se la decisione presa in tal senso trovi una ragione nell’esistenza di una legge regionale che liberalizza le aperture domenicali da Maggio a Settembre per i centri commerciali che ricadono nel territorio di città d’arte o città turistiche? E se questa è la spiegazione, qualcuno mi sa dire dove, come e perché, o da quando, Modugno possa essere annoverata tra le città d’arte o turistiche. Qualcuno è in grado di ravvisare in territorio modugnese una qualche attrazione artistica o un flusso turistico di qualche rilevanza?

Qualcuno mi sa spiegare quali margini di interpretazione abbia la suddetta legge regionale e nello stesso tempo rassicurarmi sul fatto che non ci si sia aggrappati ad un cavillo per estenderne l’applicazione anche all’ipermercato modugnese? Mi scuso, al supermercato modugnese.

Qualcuno mi sa dire in ossequio a quale principio vengano emanate le ordinanze (a favore dell’apertura domenicale) del Comune di Modugno quando invece constatiamo la contrarietà della giunta barese alla legge regionale, la quale non perde occasione per opporsi e avversarne l’applicazione nonostante Bari possa vantare un porto turistico importante e debba sicuramente ritenersi città d’arte?

Vi chiedo lumi. Per favore, facciamone un dibattito.

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l’italia in ginocchio

L’ITALIA E’ IN GINOCCHIO.

STA FACENDO POMPINI AL CAPO!

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sulla Puglia bel tempo

Quando la presi in affitto, questa casa, pensai che fosse un buon riparo anche rispetto al caldo. Confidavo nelle mura spesse di una casa antica. Altrettanta fiducia riponevo negli alti soffitti a volta che avrebbero consentito al calore di disperdersi salendo verso l’alto. E invece domenica scorsa, una domenica di fine luglio, alle tre del pomeriggio non c’era scampo al tormento. Senza condizionatore in casa sono uscito sul balcone del palazzotto ottocentesco (nella foto è una finestra nella facciata gialla sul lato sinistro) con la grinta feroce che se caldo atroce doveva essere, che me lo prendessi tutto in pieno. Farsi una sigaretta mentre ti sbatte in faccia quel flagello africano de “la favugna” è come farsi del male due volte. Un accanimento scioccamente letterario che prova a sintonizzarsi su frequenze da “morte del Principe”.

La sorpresa era tutta nel silenzio. Un delirante silenzio, oserei dire, se si esclude il tappeto sonoro del frinire delle cicale. Pensare che il Corso Vittorio Emanuele, sul quale si affaccia la mia camera da letto, per il resto della settimana è afflitto da una circolazione automobilistica di una demenza da competizione, quando invece ora non vi era traccia dell’essere umano, né di qualsivoglia forma di vita, ma manco li cani (come suol dirsi), faceva impazzire dallo spaesamento.

Dalla mia specola privilegiata posso godere di una vista prospettica della via centrale. Gli edifici generalmente bassi si susseguono a partire dal punto di fuga laggiù, segnato da quello che chiamiamo grattacielo: una concrezione di cemento di dieci piani capace da sola di stravolgere la skyline modugnese (nella foto però questa saracinesca non c’è). E solo quella domenica i palazzi più antichi mi si sono rivelati in tutta la loro evidenza ottocentesca (quando non di origine XVIII secolo).

Guardando in basso invece notavo con preoccupazione i cassonetti sulla strada straripanti di rifiuti (cosa che comincia ad accadere con troppa frequenza anche qui): sacchi di ogni colore troppo gonfi, vescicole pronte a schiattare, evocanti palle gustose di gelato alla frutta sistemate sul cartuccio. Magari! La realtà era invece fatta di marciapiedi lerci di unto, tanfo  e generale putridume fermentante insieme alle scorze di anguria e alla pastasciutta avanzata e buttata via. Segno comunque che c’era vita da qualche parte ma aveva deciso di starsene tappata in casa. In questi casi non conviene neanche prendere la via del mare.

Volevo un fernet, giusto per non lasciarmi scappare il colpo di grazia di mia spettanza, ma i bar sotto casa erano chiusi. Di aperti non c’erano neanche i banchetti di mandorlari e olivari protetti da lacere incerate turchesi. Un ulceroso, funereo meriggio mi sembrava, e mi soccorrevano in proposito le impressioni di Brancati su “la ripresa buia della luce”.

Non pioveva da quasi due mesi.

Nel meteo regionale non riecheggiava che la frase: sulla Puglia bel tempo. Sulla Puglia bel tempo. Sulla Puglia bel tempo. E nella grafica commentata dal colonnello dell’areonautica il sole, bello come un’arancia, perseverava diabolicamente sul tacco d’Italia. E sullapugliabeltempo , scandendo ogni santa giornata di oltre quaranta infami gradi, finiva per risuonare come una cantilena sinistra, un invito a cedere, a ninnarsi carne sudata, a disfarsi. Una cantilena funebre.

riflessioni su due ruote

solo quest’uomo vi riuscì

guardate questa clip e piangetevi via tutto, financo il buco del culo

riflessioni su due ruote

dal quinto al decimo km della salita

Al quinto chilometro di salita c’è un gruppo, più o meno compatto, di quindici corridori all’inseguimento di altri due. Gli attaccanti di giornata partiti al chilometro zero.

Ma che significa partire al chilometro zero? La voglia di andare in fuga potrà indurre qualche squinternato a partire dal chilometro meno uno? Se non proprio all’alba o nottetempo?

Un racconto di Benni, dal suo Bar Sport, letto tredici anni fa, ancora troppo presente nella testa, mi condiziona inevitabilmente. Vi si vedevano gregari capaci di preparare una carbonara in corsa e improbabili tapponi come la Milano-Leningrado, se la memoria non m’inganna. E imprese mirabolanti quanto il racconto stesso.

Io per me mi sforzo di non risultarne plagiato e di raccontare di uomini che si raccolgono nell’estremo sforzo per riscattarsi da una delusione, da un lutto, da una lei che se n’è andata, da una caduta, dall’essere finiti nella polvere in un’altra vita, quella parallela a questa qui sui pedali.

Per tacere di quegli altri che prima hanno compiuto gesti atletici strabilianti, sforzi assurdi che hanno segnato questo sport di imprese storiche, e poi, invertendo la parabola minchiona dello spirito sportivo, se ne sono riscattati andandosene ‘pei cazzi loro. Andandosene.

Radiocorsa ci informa che i due al comando, i battistrada, col dorsale numero 78 e  numero 121 (rispettivamente, ovviamente) , si dànno cambi regolari e quindi procedono di comune accordo. Quando sono transitati al duecentoquindicesimo chilometro (quinto chilometro di salita) avevano ancora un vantaggio di due primi e ventinove secondi.

Un mazzo di fiori stavolta vorrei farlo recapitare allo stoicismo linguistico di radiocorsa, per quel tocco d’antan che i suoi comunicati trasmettono, asettici è vero, ma perlomeno rappresentativi di uno stile non appiattito su una visione sponsorocentrica che indicherebbe volenteri i due al comando come quelli che sono ingaglioffati in festoni pubblicizzanti ceramiche (leggi cessi), radiatori, intonaci, perizoma, tarallucci e vino.

p.s. un asfodelo anche per Gianni Mura

diario di un giullare timido, minimi sistemi

in articulo mortis

Scusate, stavo imbiancando il mio sepolcro.

E nel farlo mi si è fatto dappresso un cappellaio matto che recitava a memoria un passo di Prezzolini:

“I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla e se la godono”

Secondo me non si poteva dir meglio. A questo punto, non so perché, ho smesso di imbiancare il mio sepolcro e mi sono messo a sognare la concessione di un loculo medio. Perché un loculo medio è per sempre. Non sia mai in campo. E invece di stolidi epitaffii, intesi a recuperare in memoria meriti e virtù mai abbastanza riconosciuti in vita, chiedo che sulla lastra ci si limiti ad aporre il mio codice fiscale.

Ma comunque è presto. Nel frattempo, tra il baloccarsi con la mediocrità e il tema della rimozione della morte continuo a vedere un legame chiarissimo.

Mi aspetto testimonianze che raccontino di una realizzazone nei fatti, ad ogni livello e in qualunque prospettiva, della lucida analisi prezzoliniana. Please.

riflessioni su due ruote

I PRIMI 5 KM

Quando la strada sale sotto le ruote e ci si deve alzare sui pedali

spesso arriva il momento della verità. Pur trattandosi di sforzo fisico diventa necessario conservare la concentrazione, la mente deve mantenere la sua presa sul progetto di giornata. Quale che sia il progetto: mantenere la maglia rosa e quindi difendersi; conquistare la maglia gialla e dunque attaccare; portare a termine la tappa sapendo di non essere in forma, di essere giù di corda, di aver dormito male, di stare male per dissenteria, allergia, bronchite, ferite da cadute precedenti. Arrivare in cima a un traguardo posto a 2600 metri di altitudine, o concludere una tappa di di alta montagna che consta di 230 chilometri. Arrivare purchessia e fare di ciò un punto d’onore.

Al primo chilometro di salita, esce sparato come un proiettile lo scalatore andino che andava meglio negli anni scorsi ma da un pò si è come smarrito. Verrà ripreso in un amen e non riuscirà a stare neanche con i migliori. Comincia quindi il forcing della squadra che ha uomini in grado di darsi e aggiudicarsi un traguardo di giornata. Si alza il ritmo per scremare il gruppo, il quale comincia a sfilacciarsi, perdere unità. Al terzo chilometro di salita uno dei favoriti per la vittoria finale è in difficoltà, le gambe non girano, e allora meglio lasciarsi sfilare, scivolare indietro, salire del proprio passo che non si sa mai, magari ci si riprende più avanti e allora vi faccio vedere cosa vuol dire l’esperienza, il sapersi gestire le energie, conoscere i propri limiti. Nel frattempo quello che è un passista ha fatto magari la stessa scelta e il velocista si è già imbucato nelle rete, il gruppetto di ciclisti non specialisti della montagna organizzatosi col solo fine di arrivare sul traguardo entro il tempo limite.

Tra il terzo e quarto chilometro è già scolpita nell’epica la figura del gregario: è lui che sta operando la selezione dei migliori; le sue rasoiate valgono a condannare chi sicuramente oggi non potrà vincere. Magari tra pochi minuti magari le sue gambe forsennate smetteranno improvvisamente di spingere sui pedali e lui, svuotato, si lascerà scivolare indietro anche lui. Gli altri corridori dati per favoriti nel frattempo si studiano, si affiancano, girano il collo proprio per vedere che tipo di luce emana dagli occhi dell’avversario, che tipo di pena cova la smorfia del volto dell’altro. Qualcuno può sembrare più fresco degli altri, andare come se non ci fosse sotto le ruote una rampa del 16, 17, 18 %. Forse bluffa, forse no. Il guasconcello vorrebbe scattare mentre dall’ammiraglia gli dicono di aspettare, è presto, è prematuro partire così come lui vuol fare,  i chilometri son tanti e potrebbe pagare cara la sua avventatezza.  

Al quinto chilometro il gruppo è ridotto a una quindicina di uomini. Qualcuno dei campioni ha ancora compagni di squadra che lo proteggono, rispondono agli attacchi in sua vece finchè ce ne hanno. Si dice “non ne ha più” ed è una delle espressioni (per quanto invalsa e banalizzata dalla ciarla giovanilistica) più belle del ciclismo. Non averne più: ritrovarsi traditi e abbandonati da tutta la propria pienezza di atleta con dei muscoli, con della forza fisica, con dell’ossigeno, del carburante, che fanno secessione dal corpo lasciandolo solo involucro, simulacro di un pedalatore professionista, ridotto a nera esalazione di se stesso che deve pur concludere e lo farà con l’inerzia residua.

 

P.S. mazzi di fiori ad AURO BULBARELLI E DAVIDE CASSANI. E tra gli uomini di sport aggiungerei Marco Van Basten perché è un uomo integerrimo. Se ti dice alle nove, lui arriva alle nove. 

diario di un giullare timido, letteraria

VALE TUDO!

Da ‘mo vale:

 

Una sensazione di annegamento e di intrappolamento che ti blocca con sapiente presa articolare, a queste latitudini meridionali, magari proprio su queste strade, asfaltate solo in teoria ma sterrate dalla nostra corrosiva lordaggine. Le strade del mio quartiere con i palazzotti affetti da pustola maligna. Ma da chi ce lo facciamo rifilare il materiale edilizio noi? Questi edifici che scolorano, che di notte sbiadiscono il doppio, nella calda sera (anche novembrina), nei quali allignano e proliferano e prosperano e induriscono acaroni ormai antropomorfi che contendono lo spazio agli uomini, ci bevono financo l’amaro insieme la sera tardi, anche se l’uomo non vuole, però ci è costretto ingorgato com’è in questo eterno giro di giostra tra portabiancheria da svuotare e cuscinazzi impataccati di sugna fin dentro all’anima (de li cuscinazzi, s’intende) e ancora: graveolenze inossidabili, gravidanze nevrotiche, capillari schiattatissimi, birrozze stappate in ogni angolo della casa, frigni insopportabili, sorcioni morbidosi e discreti (a proposito, sareste in grado di ragguagliarmi sulle ultime dimensioni raggiunte dalla specie fognaria?), medicine affastellate sui comò di qulacuno che è stato maledetto e che i soldi a cui non ha saputo rinunciare adesso, appunto, giustamente, tutti in medicine se li deve cacare, pruriti tenaci, crocifissi sorveglianti e sorveglianti crocifissi da mogli, ieri lapidate, oggi vezzeggiate, domani riverite; puzze del gatto, ma ora basta! domani mattina lo porti a castrare - ma tanto di pisciare deve pisciare lo stesso - vabbè ma intanto glielo metti fuori combattimento, poi si vede… (che poi nel frattempo domani ti sparo due corna col ragazzo del piano di sotto che neanche te l’immagini come si vedrà bene domani il digitale terrestre, ché non sei stato neanche in grado di sceglierlo ché non prende un cazzo e finisci ogni volta per fare queste spese di cazzo ché se quei soldi li daresti a me vedi quante mila cose utili ti vado a comprare) e via discorrendo di questi scazzi che riempiono ’ste case affollate di vera tristezza, vera violenza, vero terrore, che ti viene voglia davvero di invocare un flagello biblico a ripulire tutto per rifare tutto da capo, ché non si vive così, non si fa così, non si parla così…

ma che, me la sto a prendere così?! ma se non si può avere un’apocalisse à la carte, almeno uno switch off…

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