critica letteraria
Beatrice Blasonai recensisce “troppa grazia” di Nicola Sacco, sull’ultimo numero di Nuovi Tegumenti
l’intervento integrale
“Questa prova “erotica” certifica la grande levatura letteraria del Sacco, lo ratifica come Scrittore e lo glorifica come Regale Amante, a laterale conferma di una pregressa esperienza diretta, a causa della quale, la carne della sottoscritta, da buona testimone, ancora freme; ancora s’ingrossa, nel gabbiotto delle costole, il cuore mio. E qui siamo al topos: la fusione tra Arte e Vita. Ma poiché qui non si fanno recensioncelle giornalistiche, bando ai pettegolezzi appetitosi imbanditi dal critico per uccellare il lettore. Si passi alla disamina.
Pare, oggi, non siano in molti a percorrere gli stessi sdrucciolevoli sentieri praticati dal Sacco, e questi quasi da sconsiderato. Ma vediamo subito di quale avvertita sconsideratezza.
Modalità stilnovistiche afferrate e subito, con audacia, rovesciate, in quello che si potrebbe considerare un primo livello dissacratorio. La donna, angelicata fino a vederla come riflesso del “divino”, viene ad essere finanche contrariata. Ecco quel che accade, in queste pagine dense di secondi e terzi significati: Sacco assume il divino, o meglio, una sua (del divino) icona, per umanizzarlo/a, per farne il riflesso della Femmina. Impresa prometeica, come si vedrà, perché la madonna non è e non può essere Gesù, perché è donna che concepisce la sua carnalità come terreno di conquista per pochi eletti, dunque non può intendere la stessa carnalità, al par del Cristo, come dono all’umanità. Non è un caso, forse, che per queste ragioni (riducibili, al finale, alla diversità di genere) essa sia avulsa dal principio trinitario. E non è un caso che, come anche in questo racconto dal prepotentissimo sottotesto, gli eletti siano talmente pochi da esser rari, anzi da non esistere tout court. E non esistendo salvaguardano la natura “immacolata” di questa entità.
Le implicazioni filosofico-religiose testé svolte, derivano tuttavia da quella operazione principale, che è l’unica veramente erotica, che si sia compiuta nell’ultimo ventennio delle lettere italiane.
Molto diversamente dal film Paradise: faith, che pure si è citato a proposito di affinità con troppa grazia, non di ossessione religiosa si tratta ma di lenta scoperta dell’amore, e dell’amore, di un amore divino, in tutti i sensi, quindi anche nel senso religioso, quindi, da ultimo, della scoperta della fede come amore verso il suo Dio. La via a tutto questo, quel sentiero scabroso e periglioso cui si accennava, è certo inusuale e provocatoria, tuttavia a nessuno è dato di escluderla.
L’amore per la madonna nasce e si sviluppa in forza di un rapporto che di tutto si alimenta tranne che di dogmi, imposizioni, paranoie o sensi di colpa. In altri termini, gli strumenti tipici con cui la Chiesa cerca di affermare il proprio potere “nel secolo”, da questa narrativa sono messi al bando per far posto a credibili dimostrazioni di come il “sentire il sacro” sia il frutto di un’acquisizione progressiva, ovvero per manifestazione di caratteri, personalità e carismi, per naturale magnetismo, per irradiazione di “spirito”, pur essendo qui, la Madonna, un personaggio che si arricchisce di caratteri, man mano che il racconto procede, per attribuzione unilaterale di Angelo, nel suo crescendo di farneticazione, di delirio da “solitudine” e da “fatica”.”
Un racconto che ben ci informa dei recenti movimenti di pensiero del Sacco, dell’evoluzione del suo orientamento filosofico: “il partito preso” scacciato come un anofele, le verità precostituite come una malaria; accettare, piuttosto, che vi siano delle distanze da coprire, dure salite lungo le quali arrampicarsi, in cima alle quali il nostro Angelo immagina di trovare “il premio”. In definitiva, e un po’ banalmente, delle mete da raggiungere che sono magari intuite, mai pre-conosciute e a ben vedere, neanche mai conosciute del tutto.
C’è il processo amoroso, il motivo stilnovistico della “madonna dir vo’ voglio”, dell’assolutizzazione della donna, epperò esso appare, nella struttura del racconto, come ribaltato, o meglio ancora, come giuocato continuamente di specchi. Di tal che si confonde una donna angelicata fino al punto di farne riflesso del Divino con il Divino (una sua icona) assunto per poter essere sottoposto ad una umanizzazione che ha del prometeico (si vedrà), assunto cioè per ottenere dal Divino il distillato della Femmina.
Al di là delle implicazioni filosofico-religiose, ci pare, comunque, questa impresa, l’unica veramente erotica, e dunque esemplare unico di letteratura erotica, almeno nell’ultimo ventennio. Ad onta delle top-ten intasate da tutte le sfumature dei colori “a spirito”, erotismo balbettato dal ceto medio riflessivo, e delle astute quanto superflue (sempre in termini di reddito letterario, non certo di quel reddito più gratificante e mai abbastanza superfluo che è l’editoriale) cum-short(laddove il curatore vende per “erotico” tutta una paccottiglia che farà indrizzare l’uccello una volta, irrorare una passera un’altra mezza volta, dopodiché sarà tutto finito, manco che una sveltina; quando invece si dovrebbe rivolgere la massima attenzione, affinché la libido possa dispiegarsi, a un’esperienza caratterizzata dal massimo stress sensoriale, ovvero al soggetto che faccia del suo universo mentale il Tutto di cui l’eros abbisogna; allora sì, ne conseguirebbe il benefico e letterario effetto di una scrittura che non si esaurisce in una sola lettura; allora sì, potremmo tranquillamente escludere di essere in presenza di erotismo-patacca), Sacco mette in scena l’eterno “chiodo” che trapassa le sante carni di sempre, l’imperitura punta che, dall’origine della vita, tortura la santa carne della Storia. Un amore che, attraversando i molteplici stati della Materia, La riduce ad unità: dai “lombi in sudore” ai garretti, dalle bramate cosce alle gambe fattesi di marmo, e da questo al bronzo di una statua, dal prosaico metallo alla sua valenza ultraterrena. Un amore che, come fuoco che brucia ma non consuma, si autoalimenta di insoddisfazione, insoddisfazione per la finitezza dell’uomo; eros come eterno memento di imperfezione e limite e, al contempo, come assalto incessante alla barriera, sconfinamento, degenerazione e tracimazione nel “metafisico”. La scoperta, inevitabile, è quella dell’affratellamento conthanatos. Come inestricabilmente è sempre stato.
“Lo non-poter mi turba, / com’on che pinge e sturba”.
È il vedere soggettivamente, vale a dire l’avere “visioni” di quel viso e di quel corpo, che conduce all’estasi erotica. E nella misura in cui l’estasi è contemplazione del volto di Dio, essa è anche Morte in quanto passaggio obbligato (il morire) per poter essere ammessi al cospetto di Dio.
Beatrice Blasonai
Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012