Archivi per la categoria 'letteraria'

altri spot, letteraria

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Ne aveva consumato, Seba, di inchiostro a ricostruire tutto il sistema di potere del Cav. Sblendorio, sistema che nel frattempo s’era enormemente esteso e non se ne vedevano i confini: era partito con un furgone carico a mastelle, flessibili e distanziometri, glielo avevano rubato, lo aveva recuperato e da quel momento, momento di svolta nella sua vita, come ‘rivelato’ del suo potenziale, capace di condizionare anche le dinamiche della malavita locale, aveva cominciato una crescita inarrestabile. Countinua a leggere »

altri spot, letteraria

Le beau geste

Carofiglio non fa a tempo a rientrare in magistratura che già decide di abbandonare la toga per dedicarsi esclusivamente ai libri. Countinua a leggere »

letteraria

A caccia di un pesciolone come del segreto di un capolavoro

L’acqua, il mare, l’oceano, gli abissi. L’uomo, l’individuo, il cercatore di verità, lo smanioso della Verità, il saggio contemplatore della realtà e dei suoi pezzi di verità. Il pesce, il cetaceo, il capodoglio, la balena bianca, Moby Dick.


Moby Dick o la balena

L’acqua come elemento che accompagna e favorisce la meditazione. L’uomo che si fa individuo nella natura febbrile, prensile, di Ahab – in lui la volontà è subito volontà di potenza (si confonde con la rapacità monomaniaca) e il senso della vita, della sua vita, è tutto compreso nel folle, incessante inseguimento di qualcosa che si chiama Moby Dick ma che in realtà è innominabile, sfuggente, inafferrabile, inosservabile nella sua interezza e dunque non pienamente descrivibile, ovvero inaccessibile, inespugnabile proprio come una fortezza dalle proporzioni colossali, una roccaforte mobile e titanica che, del pari, a titanica impresa costringe laonde qualcuno si metta in testa di darle la caccia; la sorte di questi infatti sarà il non trovar pace fino a che non avrà avuto ragione di lei, poiché alla sua cattura, al farla sua, egli ha legato quel suo stesso destino e, al limite, anche soccombere per causa sua (della balena), ma solo per causa sua, può essere in qualche misura tollerabile - o in quella aperta ad ogni possibile forma di conoscenza (direi, a questo punto, polimaniaca) di Ismaele, dunque tutta e sempre da scrivere e riscrivere, la natura dell’uomo, affinché sotto il suo impulso un grande libro, novello Libro dei Libri, si componga e prenda forma, arrivando fino ai nostri giorni nelle riconosciute vesti di capolavoro della letteratura mondiale, uno dei maggiori di tutti i tempi. Countinua a leggere »

le torsioni dell'anaconda, letteraria

primarie vere

colui che scrive non sarà mai all’altezza di colui che muore

A. Camus

le torsioni dell'anaconda, letteraria

La cappella

Sì, in questa faccenda della caccia alle balene c’entra la morte – un uomo viene sbattuto nell’Eternità in modo ineffabilmente fulmineo e caotico. E con questo? Forse nella questione della Vita e della Morte abbiamo preso un solenne abbaglio. Forse quella che qui sulla terra si chiama ombra è la mia vera sostanza. Forse quando consideriamo le cose spirituali siamo troppo simili a ostriche che guardano il sole attraverso l’acqua, e pensano che l’acqua più profonda sia l’aria più sottile. Forse il mio corpo non è che la feccia del mio essere migliore. E dunque, prenda pure il mio corpo chi lo vuole, lo prenda gli dico, tanto non sono io. E allora tre urrà per Nantucket, e vengano pure quando vogliono una lancia sfondata e un corpo sfondato, perché la mia anima, neppure Giove la può sfondare.

Herman Melville, Moby Dick

letteraria, riflessioni su due ruote

Eros. Tra patacche e mariologia

critica letteraria

Beatrice Blasonai recensisce “troppa grazia” di Nicola Sacco, sull’ultimo numero di Nuovi Tegumenti

l’intervento integrale

“Questa prova “erotica” certifica la grande levatura letteraria del Sacco, lo ratifica come Scrittore e lo glorifica come Regale Amante, a laterale conferma di una pregressa esperienza diretta, a causa della quale, la carne della sottoscritta, da buona testimone, ancora freme; ancora s’ingrossa, nel gabbiotto delle costole, il cuore mio. E qui siamo al topos: la fusione tra Arte e Vita. Ma poiché qui non si fanno recensioncelle giornalistiche, bando ai pettegolezzi appetitosi imbanditi dal critico per uccellare il lettore. Si passi alla disamina.

Pare, oggi, non siano in molti a percorrere gli stessi sdrucciolevoli sentieri praticati dal Sacco, e questi quasi da sconsiderato. Ma vediamo subito di quale avvertita sconsideratezza.

Modalità stilnovistiche afferrate e subito, con audacia, rovesciate, in quello che si potrebbe considerare un primo livello dissacratorio. La donna, angelicata fino a vederla come riflesso del “divino”, viene ad essere finanche contrariata. Ecco quel che accade, in queste pagine dense di secondi e terzi significati: Sacco assume il divino, o meglio, una sua (del divino) icona, per umanizzarlo/a, per farne il riflesso della Femmina. Impresa prometeica, come si vedrà, perché la madonna non è e non può essere Gesù, perché è donna che concepisce la sua carnalità come terreno di conquista per pochi eletti, dunque non può intendere la stessa carnalità, al par del Cristo, come dono all’umanità. Non è un caso, forse, che per queste ragioni (riducibili, al finale, alla diversità di genere) essa sia avulsa dal principio trinitario. E non è un caso che, come anche in questo racconto dal prepotentissimo sottotesto, gli eletti siano talmente pochi da esser rari, anzi da non esistere tout court. E non esistendo salvaguardano la natura “immacolata” di questa entità.

Le implicazioni filosofico-religiose testé svolte, derivano tuttavia da quella operazione principale, che è l’unica veramente erotica, che si sia compiuta nell’ultimo ventennio delle lettere italiane.

Molto diversamente dal film Paradise: faith, che pure si è citato a proposito di affinità con troppa grazia, non di ossessione religiosa si tratta ma di lenta scoperta dell’amore, e dell’amore, di un amore divino, in tutti i sensi, quindi anche nel senso religioso, quindi, da ultimo, della scoperta della fede come amore verso il suo Dio. La via a tutto questo, quel sentiero scabroso e periglioso cui si accennava, è certo inusuale e provocatoria, tuttavia a nessuno è dato di escluderla.

L’amore per la madonna nasce e si sviluppa in forza di un rapporto che di tutto si alimenta tranne che di dogmi, imposizioni, paranoie o sensi di colpa. In altri termini, gli strumenti tipici con cui la Chiesa cerca di affermare il proprio potere “nel secolo”, da questa narrativa sono messi al bando per far posto a credibili dimostrazioni di come il “sentire il sacro” sia il frutto di un’acquisizione progressiva, ovvero per manifestazione di caratteri, personalità e carismi, per naturale magnetismo, per irradiazione di “spirito”, pur essendo qui, la Madonna, un personaggio che si arricchisce di caratteri, man mano che il racconto procede, per attribuzione unilaterale di Angelo, nel suo crescendo di farneticazione, di delirio da “solitudine” e da “fatica”.”

Un racconto che ben ci informa dei recenti movimenti di pensiero del Sacco, dell’evoluzione del suo orientamento filosofico: “il partito preso” scacciato come un anofele, le verità precostituite come una malaria; accettare, piuttosto, che vi siano delle distanze da coprire, dure salite lungo le quali arrampicarsi, in cima alle quali il nostro Angelo immagina di trovare “il premio”. In definitiva, e un po’ banalmente, delle mete da raggiungere che sono magari intuite, mai pre-conosciute e a ben vedere, neanche mai conosciute del tutto.

C’è il processo amoroso, il motivo stilnovistico della “madonna dir vo’ voglio”, dell’assolutizzazione della donna, epperò esso appare, nella struttura del racconto, come ribaltato, o meglio ancora, come giuocato continuamente di specchi. Di tal che si confonde una donna angelicata fino al punto di farne riflesso del Divino con il Divino (una sua icona) assunto per poter essere sottoposto ad una umanizzazione che ha del prometeico (si vedrà), assunto cioè per ottenere dal Divino il distillato della Femmina.

Al di là delle implicazioni filosofico-religiose, ci pare, comunque, questa impresa, l’unica veramente erotica, e dunque esemplare unico di letteratura erotica, almeno nell’ultimo ventennio. Ad onta delle top-ten intasate da tutte le sfumature dei colori “a spirito”, erotismo balbettato dal ceto medio riflessivo, e delle astute quanto superflue (sempre in termini di reddito letterario, non certo di quel reddito più gratificante e mai abbastanza superfluo che è l’editoriale) cum-short(laddove il curatore vende per “erotico” tutta una paccottiglia che farà indrizzare l’uccello una volta, irrorare una passera un’altra mezza volta, dopodiché sarà tutto finito, manco che una sveltina; quando invece si dovrebbe rivolgere la massima attenzione, affinché la libido possa dispiegarsi, a un’esperienza caratterizzata dal massimo stress sensoriale, ovvero al soggetto che faccia del suo universo mentale il Tutto di cui l’eros abbisogna; allora sì, ne conseguirebbe il benefico e letterario effetto di una scrittura che non si esaurisce in una sola lettura; allora sì, potremmo tranquillamente escludere di essere in presenza di erotismo-patacca), Sacco mette in scena l’eterno “chiodo” che trapassa le sante carni di sempre, l’imperitura punta che, dall’origine della vita, tortura la santa carne della Storia. Un amore che, attraversando i molteplici stati della Materia, La riduce ad unità: dai “lombi in sudore” ai garretti, dalle bramate cosce alle gambe fattesi di marmo, e da questo al bronzo di una statua, dal prosaico metallo alla sua valenza ultraterrena. Un amore che, come fuoco che brucia ma non consuma, si autoalimenta di insoddisfazione, insoddisfazione per la finitezza dell’uomo; eros come eterno memento di imperfezione e limite e, al contempo, come assalto incessante alla barriera, sconfinamento, degenerazione e tracimazione nel “metafisico”. La scoperta, inevitabile, è quella dell’affratellamento conthanatos. Come inestricabilmente è sempre stato.

“Lo non-poter mi turba, / com’on che pinge e sturba”.

È il vedere soggettivamente, vale a dire l’avere “visioni” di quel viso e di quel corpo, che conduce all’estasi erotica. E nella misura in cui l’estasi è contemplazione del volto di Dio, essa è anche Morte in quanto passaggio obbligato (il morire) per poter essere ammessi al cospetto di Dio.

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

letteraria, riflessioni su due ruote

La Recensione della Blasonai /2

Seconda parte del magnifico lavoro svolto dalla Blasonai attorno al mio racconto troppa grazia”

Un racconto che ben ci informa dei recenti movimenti di pensiero del Sacco, dell’evoluzione del suo orientamento filosofico: “il partito preso” scacciato come un anofele, le verità precostituite come una malaria; accettare, piuttosto, che vi siano delle distanze da coprire, dure salite lungo le quali arrampicarsi, in cima alle quali il nostro Angelo immagina di trovare “il premio”. In definitiva, e un po’ banalmente, delle mete da raggiungere che sono magari intuite, mai pre-conosciute e a ben vedere, neanche mai conosciute del tutto.

C’è il processo amoroso, il motivo stilnovistico della “madonna dir vo’ voglio”, dell’assolutizzazione della donna, epperò esso appare, nella struttura del racconto, come ribaltato, o meglio ancora, come giuocato continuamente di specchi. Di tal che si confonde una donna angelicata fino al punto di farne riflesso del Divino con il Divino (una sua icona) assunto per poter essere sottoposto ad una umanizzazione che ha del prometeico (si vedrà), assunto cioè per ottenere dal Divino il distillato della Femmina.

Al di là delle implicazioni filosofico-religiose, ci pare, comunque, questa impresa, l’unica veramente erotica, e dunque esemplare unico di letteratura erotica, almeno nell’ultimo ventennio. Ad onta delle top-ten intasate da tutte le sfumature dei colori “a spirito”, erotismo balbettato dal ceto medio riflessivo, e delle astute quanto superflue (sempre in termini di reddito letterario, non certo di quel reddito più gratificante e mai abbastanza superfluo che è l’editoriale) cum-short (laddove il curatore vende per “erotico” tutta una paccottiglia che farà indrizzare l’uccello una volta, irrorare una passera un’altra mezza volta, dopodiché sarà tutto finito, manco che una sveltina; quando invece si dovrebbe rivolgere la massima attenzione, affinché la libido possa dispiegarsi, a un’esperienza caratterizzata dal massimo stress sensoriale, ovvero al soggetto che faccia del suo universo mentale il Tutto di cui l’eros abbisogna; allora sì, ne conseguirebbe il benefico e letterario effetto di una scrittura che non si esaurisce in una sola lettura; allora sì, potremmo tranquillamente escludere di essere in presenza di erotismo-patacca), Sacco mette in scena l’eterno “chiodo” che trapassa le sante carni di sempre, l’imperitura punta che, dall’origine della vita, tortura la santa carne della Storia. Un amore che, attraversando i molteplici stati della Materia, La riduce ad unità: dai “lombi in sudore” ai garretti, dalle bramate cosce alle gambe fattesi di marmo, e da questo al bronzo di una statua, dal prosaico metallo alla sua valenza ultraterrena. Un amore che, come fuoco che brucia ma non consuma, si autoalimenta di insoddisfazione, insoddisfazione per la finitezza dell’uomo; eros come eterno memento di imperfezione e limite e, al contempo, come assalto incessante alla barriera, sconfinamento, degenerazione e tracimazione nel “metafisico”. La scoperta, inevitabile, è quella dell’affratellamento con thanatos. Come inestricabilmente è sempre stato.

“Lo non-poter mi turba, / com’on che pinge e sturba”.

È il vedere soggettivamente, vale a dire l’avere “visioni” di quel viso e di quel corpo, che conduce all’estasi erotica. E nella misura in cui l’estasi è contemplazione del volto di Dio, essa è anche Morte in quanto passaggio obbligato (il morire) per poter essere ammessi al cospetto di Dio.

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

letteraria, riflessioni su due ruote

La Recensione della Blasonai /1

Al finale, la pallida sovrana delle Lettere degnossi inviarmi le sue preziose notazioni critiche attorno a troppa grazia, peraltro fresche fresche di pubblicazione sull’ultimo numero di Nuovi Tegumenti:

“Questa prova “erotica” certifica la grande levatura letteraria del Sacco, lo ratifica come Scrittore e lo glorifica come Regale Amante, a laterale conferma di una pregressa esperienza diretta, a causa della quale, la carne della sottoscritta, da buona testimone, ancora freme; ancora s’ingrossa, nel gabbiotto delle costole, il cuore mio. E qui siamo al topos: la fusione tra Arte e Vita. Ma poiché qui non si fanno recensioncelle giornalistiche, bando ai pettegolezzi appetitosi imbanditi dal critico per uccellare il lettore. Si passi alla disamina.

Pare, oggi, non siano in molti a percorrere gli stessi sdrucciolevoli sentieri praticati dal Sacco, e questi quasi da sconsiderato. Ma vediamo subito di quale avvertita sconsideratezza.

Modalità stilnovistiche afferrate e subito, con audacia, rovesciate, in quello che si potrebbe considerare un primo livello dissacratorio. La donna, angelicata fino a vederla come riflesso del “divino”, viene ad essere finanche contrariata. Ecco quel che accade, in queste pagine dense di secondi e terzi significati: Sacco assume il divino, o meglio, una sua (del divino) icona, per umanizzarlo/a, per farne il riflesso della Femmina. Impresa prometeica, come si vedrà, perché la madonna non è e non può essere Gesù, perché è donna che concepisce la sua carnalità come terreno di conquista per pochi eletti, dunque non può intendere la stessa carnalità, al par del Cristo, come dono all’umanità. Non è un caso, forse, che per queste ragioni (riducibili, al finale, alla diversità di genere) essa sia avulsa dal principio trinitario. E non è un caso che, come anche in questo racconto dal prepotentissimo sottotesto, gli eletti siano talmente pochi da esser rari, anzi da non esistere tout court. E non esistendo salvaguardano la natura “immacolata” di questa entità.

Le implicazioni filosofico-religiose testé svolte, derivano tuttavia da quella operazione principale, che è l’unica veramente erotica, che si sia compiuta nell’ultimo ventennio delle lettere italiane.

Molto diversamente dal film Paradise: faith, che pure si è citato a proposito di affinità con troppa grazia, non di ossessione religiosa si tratta ma di lenta scoperta dell’amore, e dell’amore, di un amore divino, in tutti i sensi, quindi anche nel senso religioso, quindi, da ultimo, della scoperta della fede come amore verso il suo Dio. La via a tutto questo, quel sentiero scabroso e periglioso cui si accennava, è certo inusuale e provocatoria, tuttavia a nessuno è dato di escluderla.

L’amore per la madonna nasce e si sviluppa in forza di un rapporto che di tutto si alimenta tranne che di dogmi, imposizioni, paranoie o sensi di colpa. In altri termini, gli strumenti tipici con cui la Chiesa cerca di affermare il proprio potere “nel secolo”, da questa narrativa sono messi al bando per far posto a credibili dimostrazioni di come il “sentire il sacro” sia il frutto di un’acquisizione progressiva, ovvero per manifestazione di caratteri, personalità e carismi, per naturale magnetismo, per irradiazione di “spirito”, pur essendo qui, la Madonna, un personaggio che si arricchisce di caratteri, man mano che il racconto procede, per attribuzione unilaterale di Angelo, nel suo crescendo di farneticazione, di delirio da “solitudine” e da “fatica”.”

(continua)

Beatrice Blasonai

Nuovi Tegumenti, n. 69, Dicembre 2012

letteraria

un monologo fantastico


Don Peppino

Adesso i giochi sono fatti. Ormai siamo arrivati in fondo e non è più tempo di giochi. Questo è l’ultimo atto. Qui gli uomini compiono il loro destino. Se sono uomini. Se sono uomini d’onore. Portano a casa il frutto del lavoro che gli è stato assegnato. Questo è il momento in cui ci si distingue, nella capacità di raggiungere l’obiettivo, nella capacità che la nostra gente ha di concretizzare. Noi non vogliamo male a nessuno. Semplicemente siamo gente ostinata in un lavoro fuori legge, dicono. Va bene, ma fuori da quale legge. Chi l’ha fatta questa legge? Che senso hanno queste regole se poi risultano le uniche ad esserci contrarie. Perché la gente qui ci vuole bene, ci è grata, si rivolge a noi nel momento del bisogno. E questo è il posto e il tempo, il nostro posto e il nostro tempo in cui si danno risposte, e cose, e rispetto a chi ne ha bisogno … e le regole , la legge … cosa volete che importi. Noi una casa l’abbiamo costruita e in questa casa c’è un letto e un tozzo di pane, e un orologio per chiunque, lontano dalla propria terra, ne abbia il bisogno. Quello che vi occorre noi ce l’abbiamo, che problemi ci stanno? Dice: ma la contropartita qual è? Il rispetto. Nient’altro che il rispetto. Perché se c’è quello, io sono già riconosciuto (alza leggermente il tono della voce) perfettamente all’interno del patto sociale. E il sangue deve scorrere, comunque, necessariamente. Se non lo facciamo noi, lo faranno i nostri vicini, e se non loro, lo faranno altri, magari chi vi protegge, i tutori dell’ordine costituito (emette un sorrisetto sarcastico)

Siamo necessari. Tutti. Perché noi le cose le sappiamo fare: abbiamo la stoffa (Tony), abbiamo la trama, il racconto (Vince), la determinazione, la forza (Mike), abbiamo esperienza (piccola pausa) sappiamo sentire (Johnny), abbiamo il coraggio, le spalle forti (Tano e Frank).

Abbiamo un dovere verso le donne (Dolly), verso le madri (Jennifer), verso le figlie che saranno madri (Samantha), verso la famiglia e verso i bambini, di questo io voglio dire, di questo voglio parlare.

Ma le donne vanno tenute lontano. (Nick) Quando c’è da lavorare le donne rimangono a casa. Gli onori e gli allori dopo. Non mischiamo tutte cose, il mischio è pericoloso. Il risultato è ormai vicino. L’ultima goccia di sudore per una fatica che si chiama vita. (buio).

le torsioni dell'anaconda, letteraria

da un misconosciuto capolavoro

Quanti anni

Aveva sudorazioni notturne, pallore accentuato, mancanza di appetito. E al posto del torace una caverna dove un cagnaccio latrava rabbiosamente. Perdeva peso e il semplice muoversi per la casa era un gran dispendio di energie. Del peggioramento della sua salute incolpava quegli insetti. L’infido morso di quegli insetti che chissà come riuscivano a penetrare nella sua stanza inaccessibile a chiunque altro. Come riuscivano a insinuarsi nonostante avesse rattoppato la zanzariera era un mistero. Solo quegli esseri viventi, a parte Vita, nella stanza. E non pochi. Tanti ne entravano. Si mettevano a volare ossessivamente, ronzandole sulla faccia. Aveva provato, senza riuscirci, a sterminarli col Baygon. Sembravano esserini immuni e sfacciati, portatori di una loro urgente evidenza. Nel mentre che deperiva Vita assisteva, in pratica contemplava la costituzione di una vera e propria coscienza del necrophorus vespillo.

***

L’indefessa Splendar Puglia pur nel greve silenzio lavorava e soffiava il suo alito di gabinetto, lo soffiava perché si posasse come bambagia su tutto l’abitato.

Nella quiete di una notte d’estate, il cubo sfalsato e dolorante di via Veneto, correa la chiarità della luna rappresa nei muri biancheggianti, riusciva a trasmettere brividi di freddo all’insonne Seba. La vedeva serrata, quella casa, inviolabile, piombata come un vagone carico di ebrei. Le piante antisanti, cresciute a dismisura, più composte del solito però, a elevare qualche preghiera all’altare arcigno, intangibile come cosa sacra, cui si rivolgevano deferenti.

La ieraticità di quel momento fu lacerata da un’esplosione di musica.

… parlarti del mondo fuori, dei miei pensieri, e io dovrei … ma spiegami contro di me che cos’hai … aspettare che una donna diventassi tu … noi due nel mondo e nell’anima … la verità siamo noi …

La canzone dei Pooh irruppe nella calura silente della notte. In capo a una ventina di secondi fu però stoppata brutalmente.

Il fragore che avevo lacerato la notte continuò nel trapestio che proveniva dall’abitazione dei Germinario e dalle urla che risuonarono in una lunga sequela di bestemmioni sorprendenti e spaventosi.

“Che cazzo ti salta in mente, brutta stracciaculaaaaa!!! Ma che cazzo tieni in quella testa di merda, brutta ritardata schifosa, adesso la devi piantare con le tue stranezze, hai capito? Non ce la faccio più, non ti reggo più! Io devo andare a lavorare, la mattina mi alzo presto e tu hai davvero rotto i coglioni, rottame che non sei altro!”

La sorpresa e lo spavento erano dovuti al fatto che la voce che stava così orribilmente spolmonandosi, nonostante tutta una vita dedicata a curarsi il lessico, a coltivarsi un linguaggio da entomologo, a discernere attentamente tra elettromotrici e automotrici, a mettere attenzione al comportamento e all’inclinazione dei treni in curva con test spossanti di centinaia di ore, alla dovizia dei particolari di uno zodiaco di riferimento volutamente statico, alla corretta denominazione delle località e di ogni genere di segnaletica, alla fedele riproduzione di autorimesse, autosaloni, parcheggi, stazioni di servizio, motel A14, case cantoniere, montagnole, parchi, lampioni, passaggi a livello, caseggiati, complanari, coste, colline, pinete marittime, uliveti mandorleti vigneti e ciliegeti, cipresseti cimiteriali, interruzioni stradali per lavori in corso con tanto di martelli pneumatici e pupazzetti in tuta da lavoro e casco giallo, ecco, nonostante tutto questo, era inconfondibilmente la voce del figlio maschio di Innocenza a sgretolare tutte le sue organizzate particelle in quel fragore di bestialità. Non ci si poteva sbagliare.

Anche in lui la frustrazione aveva rotto gli argini ed eruttava in tutta la sua brutalità.

*** una bravissima artista delle mie parti, Luisa Valenzano, ha concepito e realizzato quest’opera su fascinazione de l’anaconda. L’anaconda e il sottoscritto, ovvi ringraziamenti a parte, si lasciano a loro volta avvolgere dall’ulteriore fascinazione che questo dipinto dispiega. Chi avesse voglia di sapere di più di Luisa Valenzano artista può cliccare qui http://www.artmajeur.com/luisavalenzano/.

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